Tra i fatti curiosi accaduti nella storia dell’arte, quella della genesi di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living di Damien Hirst (più conosciuta come “lo squalo”) è sicuramente una tra le più bizzarre.
Uno degli uomini più quotati di tutti i tempi (all’età di quaranta anni lo stesso artista affermava di valere già 100 milioni di sterline), Damien Hirst nasce a Bristol nel 1965 e cresce a Leeds, da padre meccanico e madre artista per diletto. Il giovane frequenta la scuola di Leeds, prima di lavorare per due anni a Londra nel settore dell’edilizia. Negli anni Ottanta fa domanda d’iscrizione a due college, venendo però rifiutato. Finalmente, viene accettato al Goldsmiths di Londra; è qui che Hirst inizia a dare libero sfogo alla sua creatività e al suo genio, iniziando fin da subito a farsi notare per le sue impressionanti doti artistiche.
Al Goldsmiths gli viene affidato anche uno spazio in una camera mortuaria; l’accaduto, come dichiara lo stesso Hirst, avrà un’influenza notevole sui lavori che verranno. È nel 1988, a soli ventitré anni, che l’artista cura in totale autonomia la sua prima esposizione, Freeze, in un edificio dismesso di Londra. Acclamata quanto discussa dalla critica, la mostra espone i lavori di diciassette compagni di studi di Hirst più il suo contributo, consistente in un cumulo di scatole di cartone rivestite in comunissimo lattice. È proprio Freeze a portare alla ribalta molti degli Young British Artists, oltre a focalizzare l’attenzione di Charles Saatchi, facoltoso collezionista e mecenate, sul suo curatore: Damien Hirst.
Dopo aver conseguito il diploma nel 1989, Hirst, insieme all’amico e artista Carl Freedman, cura una seconda mostra, Gambler, nel 1990, allestita in uno spazio industriale simile a quello della precedente. Ovviamente, anche Charles Saatchi, già colpito dalle capacità di Hirst da Freeze, visita la mostra, rimanendo folgorato dalla sua nuova opera: A Thousand Years. L’installazione è una metafora del ciclo di vita e di morte: alcune larve di mosca si schiudono in una teca, tentando poi di superare una lastra di vetro, attirate inesorabilmente dall’odore di una testa di mucca in decomposizione, per venire però fulminate a metà tragitto.
È a questo punto che Saatchi compie il grande passo che porterà alla nascita dello squalo: decide infatti di acquistare l’installazione e di sovvenzionare la futura produzione di Hirst. Così, nel 1991, grazie ai finanziamenti del collezionista, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living vede la luce. L’idea non è sicuramente improvvisata; già nella primissima edizione della rivista Frieze, Hirst descrive l’idea dello squalo e ammette di essere estremamente affascinato e intimorito al tempo stesso da un essere vivente così maestoso, in grado di muoversi in totale armonia in un ambiente a noi estraneo. Aggiunge anche che il predatore ha la facoltà di dare l’impressione di essere vivo quando in realtà è morto e viceversa.
I titoli di Damien Hirst sono sempre parte integrante delle opere: sono infatti i primi vettori di interesse nel pubblico, catturandone l’attenzione. Se lo squalo si intitolasse semplicemente “Squalo”, lo spettatore, una volta presa coscienza che ciò che ha davanti è effettivamente una rappresentazione in carne ed ossa del predatore marino, passerebbe subito oltre. Il titolo è straniante ed impone chi osserva a tentare di trovare un significato, provocando altrettanto dibattito quanto ne suscita l’opera stessa. Ma come nasce esattamente Physical Impossibility? L’enorme squalo tigre (quattro metri e mezzo di lunghezza e oltre due tonnellate di peso) viene catturato in Australia nel 1991; successivamente, viene trasferito in Inghilterra, dove i tecnici che lavorano sotto la direzione di Hirst, lo imbalsamano e lo immergono nella soluzione in formaldeide della grande teca.
A partire dall’anno successivo, l’installazione viene esposta nella galleria privata di Saatchi, a Londra. Ma è davvero così semplice per Hirst uccidere ed imbalsamare uno squalo? Ovviamente, non è lui in prima persona a catturarlo: il merito dell’artista è quello di fare qualche telefonata a diversi uffici postali australiani situati in località costiere, i quali, a loro volta, appendono dei cartelli “Squalo cercasi”, con impresso il numero di Hirst. Una volta trovato il pescatore, un uomo di nome Vic Hislop, e il malcapitato squalo, l’artista si occupa della compravendita e del trasporto per ben 6000 sterline: 4000 per la cattura e 2000 per imballare l’animale nel ghiaccio e spedirlo via nave a Londra.
Nel 2005, Physical Impossibility viene acquistata dal ricco imprenditore Steve Cohen per quella che sarà la cifra più alta spesa per un’opera di un artista vivente, almeno fino a quel momento (nel 2019 il record di Hirst verrà battuto da Rabbit di Jeff Koons, venduto per ben 81.5 milioni di euro): 12 milioni di dollari. Arrivati a questo punto, siamo costretti a fare un passo indietro e tornare a qualche anno prima, al momento in cui Hirst e Saatchi si trovano a fronteggiare un problema che nemmeno i soldi possono risolvere: il lento ed inesorabile processo di decomposizione della carcassa. Al momento della vendita, nel 2005, lo squalo è già in una fase molto avanzata di deterioramento; proprio per questo, nello stesso anno, l’artista accetta di sostituire l’animale.
Così, chiama di nuovo il pescatore che gli vendette il primo squalo, chiedendogli di spedire al suo indirizzo altri tre squali tigre e uno squalo bianco, della stessa stazza e ferocia dell’originale. Alla fine, Hislop invia cinque squali, il quinto in omaggio, surgelati e spediti nuovamente via nave. Stavolta, al predatore scelto per la sostituzione, vengono iniettati mille litri di formaldeide circa, dieci volte la quantità usata per il primo squalo, in una soluzione molto più concentrata, risolvendo il problema della decomposizione. Almeno, per ora.
Biografia
THOMPSON, Donald, Lo squalo da 12 milioni di dollari, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, 2014
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