Il 2020 ci ha salutato con un’opera di Land Art che ha scatenato non poche polemiche: Diva, l’imponente intervento dell’artista brasiliana, Juliana Notari. Nata nel 1975 a Recife, in Brasile, Notari è un’artista sperimentale: la sua ricerca passa in rassegna i più disparati media artistici, dalla fotografia all’installazione, fino ad approdare alla performance. Dichiaratamente femminista, ecologista e anticolonialista, il nucleo di tutta la sua ricerca è il trauma: per lei, l’arte è veicolo di messaggi profondi e, all’occorrenza, deve essere fastidiosa, anche inopportuna.
E cosa c’è di più inopportuno di un’enorme vulva rosso sangue che si staglia fieramente su una verde collina? Si, perché Diva è proprio questo: è un attacco frontale e diretto alla misoginia e al sessismo che dominano la società, ancora così tristemente “fallocentrica”, per citare le parole di Notari. L’enorme scultura ha visto la luce su un brano di terreno collinare, dove in passato è sorto uno zuccherificio, nel parco Usina de Arte, vicino alla cittadina di Água Preta, nello stato del Pernambuco.
La mastodontica vulva è realizzata interamente in cemento armato ricoperto di vernice e misura 33 metri in lunghezza, 16 in larghezza e 6 di profondità. In un post su Instagram, la stessa artista spiega come l’opera sia interamente realizzata a mano e non con l’aiuto di mezzi, dal momento che, con le escavatrici, sarebbe stato impossibile creare i solchi e i rilievi necessari alla piena riuscita del progetto. A Diva hanno lavorato incessantemente per quasi un anno più di 20 persone e tra queste, molti uomini.
Notari ha dichiarato di voler dialogare, attraverso questa opera, con tutte le problematiche relative alla questione di genere, ovviamente partendo da una prospettiva squisitamente femminile. Una volta ultimata, l’opera è stata presentata sui social, scatenando delle vere e proprie ondate di odio, culminato in frasi sessiste e orrendamente volgari, rivolte direttamente all’artista. Queste parole sono state espresse perlopiù da gruppi di destra estrema, sostenitori dell’attuale presidente del Brasile, Jair Bolsonaro. Non possiamo non citare le parole di Olavo de Carvalho, filosofo e polemista molto vicino al presidente, che su Twitter ha esordito in modo sprezzante e volgare: “perché parlano male di una figa di 33 metri, quando potrebbero affrontarla con un cazzo?”.
Ecco quindi che Diva, per ciò che rappresenta, diventa la portabandiera di una battaglia, condotta prevalentemente dalle donne, contro la destra estremista e conservatrice, capeggiata da Bolsonaro. Proprio nella lotta contro l’attuale presidente, il movimento femminista in America Latina, da tempo sopito, ha trovato l’input per rinascere: nell’estate del 2018, su Facebook prende vita un gruppo, “Mulheres Unidas contra Bolsonaro” (Donne unite contro Bolsonaro), pensato per dar voce a coloro che non si sentono e non vogliono essere rappresentati dall’allora candidato e oggi presidente del Brasile, date le sue numerose dichiarazioni di stampo marcatamente sessista e ripetute minacce alla democrazia.
Il gruppo è cresciuto esponenzialmente in poco tempo, diventando così influente da potersi permettere di lanciare un hashtag: #EleNão (non lui), che è stato poi utilizzato anche da esponenti politici di spicco dell’opposizione, durante la campagna elettorale. Arrivato a quasi 4 milioni di iscritti, il gruppo è divenuto una minaccia per Bolsonaro stesso, tanto da ricevere numerosi attacchi da parte degli hacker, che hanno tentato di mettere in cattiva luce le fondatrici, utilizzando loro dati personali. Questi ultimi sono riusciti anche a cambiare il nome del gruppo in “Mulheres com Bolsonaro” (Donne con Bolsonaro) per tentare di depistare il loro intento, arrivando perfino a minacciare le famiglie e i parenti dei membri. Le amministratrici hanno coraggiosamente denunciato il fatto alla Polizia, che ha poi riconsegnato loro il gruppo ripulito dagli interventi degli hacker. Successivamente, le protagoniste sono state meritatamente ripagate con il raddoppio delle iscrizioni alla pagina.
L’enorme vagina di Juliana Notari è il simbolo di questa lotta contro Bolsonaro e i suoi seguaci, è un inno alla donna “diva”, che fa da contraltare alle posizioni smaccatamente misogine e maschiliste dell’attuale governo brasiliano. Nonostante sia certamente l’opera più monumentale di Juliana Notari, la tematica affrontata in Diva non è certo una novità per l’artista: il corpo femminile e la sua scoperta sono da sempre oggetto focale della sua ricerca.
Nella sua produzione figurano altre opere incentrate sempre sul tema della ferita e degli orifizi umani: nella performance del 2012, Spalt-me, l’artista crea una fenditura nel muro (una ferita, appunto) che ricorda una vagina e successivamente penetra il buco con la mano. Qualche anno prima, nella performance del 2006 intitolata Dra-Diva, molto simile nel risultato finale a quella del 2012, l’artista sparge sangue bovino intorno alla fenditura, rendendola così ancora più verosimilmente una ferita. Dunque, Diva non è altro che un tassello in più nel percorso artistico pluriennale di Juliana Notari: speriamo che non sia l’ultimo.
Le fotografie incluse nell’articolo e nel video hanno il solo scopo di accompagnare la narrazione e sono state utilizzate nei limiti concessi dal diritto di cronaca. Per qualsiasi segnalazione scrivi a info@zirartmag.com
Per approfondire l’argomento:
Juliana Notari | Finestre sull’Arte | Art Vibes | Artribune | Metropolitan Magazine