«Oreste non è nessuno, eppure sono tanti. Oreste viene chiamato così dagli amici, per tutti gli altri è Progetto Oreste, nasce nel 1997 e muore nel 2001». Queste le parole della curatrice Serena Carbone in occasione della presentazione della mostra No! Oreste, No!, ospitata presso la Project Room del MAMbo nella primavera del 2019 che, attraverso numerosi ed eterogenei materiali d’archivio, ripercorreva la storia del Progetto Oreste.
Ma chi o cosa è stato Oreste? Tutto ebbe inizio durante i primi mesi del 1997. Cesare Pietroiusti chiese ad un gruppo di artisti di riunirsi in un’osteria per pranzare insieme e per raccontare loro dell’opportunità della creazione di una residenza d’artista estiva all’interno di una foresteria di Paliano, che gli veniva messa a disposizione dall’allora sindaco Giuseppe Alveti.
In un’intervista rilasciata ad Artribune in occasione dell’inaugurazione della mostra al MAMbo, l’artista Pino Boresta ricorda l’eccitazione comune di quel momento e l’immediata ricerca dei criteri di selezione degli artisti da invitare. I presenti giunsero presto ad una conclusione: le convocazioni si sarebbero dovute basare sull’interesse artistico e intellettuale che ogni artista scelto potesse apportare all’interno di un’indagine sul momento storico artistico e di un certo tipo di ricerca, particolarmente vicino all’arte relazionale.
A questo laboratorio in continuo divenire, che si sviluppò a più riprese tra il 1997 e il 2001, parteciparono quasi 300 artisti tra cui Cesare Pietroiusti, Pino Boresta, Luigi Negro, Emilio Fantin, Eva Marisaldi, Stefano Arienti, Giancarlo Norese, Carla Accardi, Luca Vitone, Bruna Esposito.
Non solo residenza d’artista
L’esperienza di Oreste fu molto più che una residenza d’artista. Un progetto rivoluzionario, che apriva la strada a nuove visioni dell’arte – indipendenti, collettive, fatte di relazioni, di aggregazione, di incontri e dibattiti. Considerato uno tra i principali progetti di arte relazionale italiano, Oreste è stato un’iniziativa libera, interamente basata sullo scambio, sulla condivisione e sulla partecipazione attiva. Andava contro le regole e immaginava nuovi scenari e nuove alternative al sistema conosciuto, ponendo al centro dell’attenzione il ruolo dell’artista e la sua autonomia, mettendo in discussione il significato di “fare arte” e i contesti ad esso deputati, chiedendosi se davvero esistesse un “pubblico dell’arte” e quale fosse l’importanza che esso era solito dare all’opera e al lavoro dell’artista stesso.
1997-2001: le principali tappe del viaggio di Oreste
Il viaggio di Oreste parte con Oreste 0 dalla foresteria di Paliano, in provincia di Frosinone, e nello stesso anno tocca Bologna con un convegno organizzato nei locali del centro sociale Link, dal titolo Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa?. Gli artisti di Oreste lavorano attivamente insieme, con lo scopo di dare spazio alle idee; durante i loro incontri non parlano solo d’arte, ma anche – ad esempio – di musica, di letteratura e di scienza. Nel 1999 approdano alla 48° Biennale di Venezia su invito di Harald Szeemann, partecipando a dAPERTutto con una serie di incontri, performance, discussioni, conferenze e incontri informali per un totale di circa 100 eventi ai quali parteciparono attivamente più di 500 persone.
Successivamente, Oreste si sposta a Montescaglioso – luogo in cui furono organizzate le ultime residenze – e arriva Roma, in occasione della mostra Le tribù dell’arte a cura di Achille Bonito Oliva. Da quel momento Oreste cessa di esistere, lasciandosi alle spalle un archivio (quasi) impossibile da gestire, strabordante di storie e di materiali, di spunti e riflessioni preziose. Nessuna opera è stata creata negli anni di Oreste: la vera opera è Oreste stesso.
Per approfondire l’argomento abbiamo riunito su ZirArtmag una serie di link a documenti utili tra cui, ad esempio, i testi del convegno svoltosi a Bologna e il resoconto di Oreste Zero, a cura di Giancarlo Norese.
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