ZìrArtmag presenta Speciale Foto/Industria 2019: in occasione della IV edizione dell’unica biennale al mondo dedicata alla fotografia dell’Industria e del Lavoro ogni sabato – a partire dal 2 novembre e fino al 23 novembre – verrà pubblicato un focus dedicato ad alcuni artisti in mostra a Bologna. Quest’anno Foto/Industria ha presentato un programma di 11 mostre e 11 luoghi: oggi vi raccontiamo quelle di David Claerbout e Albert Renger-Patzsch.
DAVID CLAERBOUT | OLYMPIA
Lo stadio Olimpico di Berlino fu progettato da Werner March affinché resistesse alle insidie del tempo per più di mille anni. La struttura, conosciuta per aver ospitato le Olimpiadi del 1936, si smaterializza nell’opera in movimento di David Clearbout, il quale – partendo proprio dalle intenzioni dell’architetto – ne immagina il decadimento graduale per un arco di tempo di un millennio.
Olympia, ricostruzione digitale dell’Olympiastadion di Berlino, viene magistralmente collocata dall’artista «in una dimensione spazio-temporale privata della presenza umana e consegnata ai cicli della natura. In accordo con la teoria del “valore delle rovine”, secondo cui il decadimento dell’edificio sarebbe pre-incorporato nel suo stesso progetto, l’opera evoca una dinamica di creazione-dissoluzione determinata dall’inesorabile forza della natura. Benché fisicamente rimosso, l’elemento umano è presente attraverso la sincronicità dell’opera con il nostro ciclo vitale».
L’opera, ospitata presso lo Spazio Carbonesi di Palazzo Zambeccari, regala allo spettatore l’illusione di una vita lunga mille anni: il tempo necessario per assistere di persona alla dissoluzione dell’edificio.
Come si legge nel comunicato stampa, «l’attesa è una componente significativa per il visitatore di qualsiasi mostra, ma nel caso di Olympia l’esperienza dell’opera consiste nell’effetto meditativo che scaturisce dal vivere il tempo reale in un ambiente che è del tutto irreale, sperimentando il tempo individuale in relazione a un volume temporale estremamente maggiore».
La vegetazione e gli agenti atmosferici sono gli unici responsabili del progressivo decadimento dell’edificio, il quale avviene mediante l’utilizzo di un software che si comporta come motore grafico del progetto: nell’opera di Claerbout gli alberi crescono fino a soffocare lo stadio, in un contesto che pone in primo piano le forze della natura ed elimina la figura umana come accade in molti lavori dell’artista belga.
ALBERT RENGER-PATZSCH | PAESAGGI DELLA RUHR
Forse non tutti sanno che la Pinacoteca Nazionale di Bologna – istituzione che conserva straordinari capolavori della pittura italiana dal Medioevo al settecento – comprende anche una sala espositiva dedicata alle mostre temporanee e situata al piano interrato dell’edificio, la Sala degli Incamminati. Al suo interno, in occasione di Foto/Industria 2019, il percorso espositivo è giocato sulla bicromia bianco/verde e al grande open space è stato conferito un ritmo regolare grazie all’installazione di una serie di pareti removibili, di due gradazioni differenti di verde a seconda della direzione in cui si osserva la mostra.
Le foto in bianco e nero di Albert Renger-Patzsch – considerato uno dei principali esponenti della Nuova Oggettività – assumono le sembianze di piccole finestre sulla Ruhr, regione della Germania percorsa dall’omonimo fiume e protagonista, grazie all’incremento di attività industriali sia estrattive che manifatturiere, di un incredibile sviluppo economico a partire dai primi del XIX secolo.
Il fotografo tedesco, nato a Würzburg nel 1897, inizia a catturare i Paesaggi della Ruhr a nel 1927 e vi si immerge ancor di più a partire dal 1929, anno in cui si trasferisce ad Essen. L’occhio attento di Renger-Patzsch documenta la morfologia del territorio della Ruhr e il suo repentino cambiamento realizzando numerosi scatti che si caratterizzano per chiarezza compositiva ed equilibrio formale; ogni cosa, all’interno di queste iconiche fotografie, è immobile, avvolto dai fumi della produzione industriale siderurgica e carbonifera, bianco come la neve e grigio come l’acciaio. L’obbiettivo del fotografo riprende «vedute suburbane e scavi minerari, cortili di grandi edifici popolari e di case di periferia, appezzamenti di terreno e impianti industriali», documentando la disordinata aggregazione e la totale assenza di un assetto urbanistico.
La serie dei Paesaggi della Ruhr, l’unica realizzata su iniziativa dell’artista senza alcuna commissione esterna, comprende circa 150 soggetti immortalati a più riprese fino al 1935 ed è stata scoperta da Ann e Jürgen Wilde, i quali iniziarono la raccolta delle opere degli eredi di Renger-Patzsch nel 1974 e fondarono l’Albert Renger-Patzsch Archiv.
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