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Maria Lai | Legarsi alla montagna

 


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Quando l’arte assume le sembianze del rito/ Quando il rito diventa arte / il tempo è qualcosa che non si conta più.

L’8 settembre 1981, in un piccolo paese incastonato tra i monti dell’Ogliastra, Maria Lai rivoluzionava la concezione dell’arte dando vita a quella che viene considerata la prima opera d’arte relazionale. Un’idea che le valse il primato a livello internazionale e che consentì ad Ulassai di trasformarsi, negli anni a venire, in un museo a cielo aperto costantemente in relazione con l’abitato e con i suoi cittadini.

Legarsi alla montagna fu un’idea travagliata, all’inizio anche ostacolata. Il fatto è che, almeno in un primo momento, il suo carattere innovativo non venne compreso. Nel 1978 l’artista ricevette l’incarico di pensare ad un monumento ai caduti, da realizzare nel comune ogliastrino; Maria Lai rifiutò, proponendo a sua volta di realizzare un monumento per i vivi, qualcosa che coinvolgesse la comunità. Il Consiglio comunale, che probabilmente si aspettava un’opera “classica”, forse una scultura che ricordasse con magnificenza i propri eroi di guerra, discusse a più riprese con Maria Lai finché, un giorno, decise di darle fiducia. Nel settembre 1981, a seguito di un lunghissimo processo di coinvolgimento degli abitanti di Ulassai, si diede inizio all’azione vera e propria.

Guarda il docufilm di Tonino Casula:

 

 

Per la realizzazione di questo straordinario progetto a metà tra performance e arte site-specific, l’artista sarda si ispirò ad una storia locale: “Sa Rutta de is’antigus“, che letteralmente significa “La grotta degli antichi“, è la storia di una bambina che riuscì a salvarsi dalla caduta di una frana grazie ad un filo azzurro portato dal vento. È la storia che scatenò l’immaginazione dell’artista: una leggenda popolare, tramandata nel tempo, conosciuta con diversi titoli e differenti sfumature, ma comunque un racconto che appartiene all’identità della gente di Ulassai.

Legarsi alla montagna mobilitò un intero paese: circa 27 km di stoffa azzurra riuscirono a cucire la gente alla terra e a collegare le case. Le relazioni tra parenti e vicini vennero rese esplicite dai punti di giuntura della tela di jeans, la quale venne semplicemente annodata tra le case degli estranei e decorata con pane pintau e fiocchi tra quelle di amici e parenti. Le famiglie lavorarono fianco a fianco, mettendo da parte l’orgoglio e gli screzi; le mani degli anziani guidarono quelle dei bambini alla scoperta del mondo e gli occhi dei giovani ebbero modo di guardare molto lontano.

Nel 1982, a proposito dello storico intervento, Filiberto Menna affermò: «(…) Forse che il grande sogno ad occhi aperti dell’arte moderna di cambiare la vita si è realizzato, sia pure una volta soltanto, proprio qui, in questo luogo lontano dove i nomi prestigiosi dell’avanguardia artistica non sono altro che nomi? Credo di sì: qui, l’arte è riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto. Ma c’è voluta la capacità di ascolto di Maria Lai che ha saputo restituire la parola a un intero paese e rendersi partecipe della memoria e dei fantasmi della gente comune, aiutandola a liberarsi della parte distruttiva di sé e ad aprirsi con disponibilità nuova al colloquio e alla solidarietà».

L’azione collettiva venne immortalata negli scatti in bianco e nero di Piero Berengo Gardin (successivamente colorati dalla stessa Maria Lai) e documentata nel film di Tonino Casula.


Scopri di più su visitando il sito dedicato a Maria Lai. Ulteriori informazioni sulla Stazione dell’Arte di Ulassai e su Sardegna Cultura.

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