Jean Cocteau la convinse a recitare nel suo Le sang d’un poète, film d’avanguardia del 1930. Elizabeth Lee Miller, cosparsa di gesso, interpreta una statua ispirata ai modelli classici e avvolta in una lunga e drappeggiata veste. Ha le sembianze di una dea moderna, dal candido incarnato e i lineamenti aggraziati.
La carriera di questa straordinaria artista, che fu fotografa, modella e fotoreporter, ebbe inizio sulle patinate riviste per signore in cui, fin da giovanissima, comparve come ragazza immagine. La sua bellezza, infatti, non passò inosservata a Condé Nast, il quale la lanciò su Vogue a soli 19 anni. Nel 1927 George Lepape tracciò i suoi lineamenti scultorei per la copertina di Vogue America; in breve tempo il suo volto divenne una presenza costante sulle riviste femminili e la giovane donna, originaria di Poughkeepsie, posò come modella per fotografi del calibro di Edward Steichen e Arnold Genthe, entrando a far parte della cerchia delle più apprezzate fotomodelle di quegli anni. Non più tardi di due anni dopo, a seguito di uno scandalo connesso ad una sua fotografia utilizzata per una scandalosa pubblicità di assorbenti femminili dal marchio Kotex[1], Lee Miller decise di partire alla volta di Parigi e passare dall’altra parte dell’obiettivo.
La sua è stata, senza ombra di dubbio, una vita piuttosto movimentata, ricca di colpi di scena e segnata da avvenimenti dolorosi[2]. Si avvicinò alla fotografia in tenera età e grazie a suo padre conobbe i rudimenti del processo di sviluppo della pellicola in camera oscura; la sua prima macchina fu proprio quella Kodak Brownie che Theodore Miller era solito adoperare per le sue fotografie amatoriali.
Quando si trasferì a Parigi era il 1929: conobbe Man Ray e si avvicinò all’ambiente surrealista, imparando moltissimo dagli artisti del movimento. Il suo obiettivo catturò numerosi volti noti: Pablo Picasso, Max Ernst, Jean Cocteau, Joan Mirò, Paul Éluard sono solo alcuni degli amici ritratti dalla Miller. Per Man Ray divenne collaboratrice di studio, musa e amante; fu lei ad aiutarlo nella realizzazione della tecnica della solarizzazione e a posare per numerose sue fotografie. L’occhio dell’Objet à détruire realizzato (per la seconda volta: il primo esemplare risale al 1922-23) da Man Ray nel 1933 è proprio quello dell’amata Lee Miller; i due avevano interrotto la loro relazione nel 1932 e con quest’opera l’artista surrealista sembrava volerne distruggere il ricordo.
“Cut out the eye from a photograph of one who has been loved but is seen no more. Attach the eye to the pendulum of a metronome and regulate the weight to suit the tempo desired. Keep doing to the limit of endurance. With a hammer well-aimed, try to destroy the whole at a single blow” |Man Ray on This Quarter (vol.I, September 1932, p.55)
Una volta rientrata a New York, Lee Miller si dedicò al ritratto, alla fotografia surrealista e agli scatti per Vogue, svolgendo il suo poliedrico lavoro all’interno di uno studio aperto in collaborazione con suo fratello minore Erik. A questo periodo risale Self-Portrait in Headband (1933), autoritratto realizzato per Vogue in cui Lee Miller è fotografa e modella allo stesso tempo: non è difficile cogliere le somiglianze tra questo scatto e alcune fotografie che Horst fece a Coco Chanel qualche anno più tardi.
La fotografa americana trascorse del tempo in Egitto con il primo marito, Aziz Eloui Bey, incontrato nel 1934 ma già nel 1937, durante un soggiorno parigino, conobbe Roland Penrose, artista surrealista che qualche anno dopo sarebbe diventato il suo secondo marito e con il quale avrebbe concepito e messo al mondo il loro unico figlio, Anthony Penrose. I due artisti fecero numerosi viaggi in Europa e in questo periodo Picasso la ritrasse sei volte secondo il suo stile cubista.
La fase più straordinaria della carriera di questa intraprendente artista si colloca durante la seconda guerra mondiale. Poco prima dello scoppio del conflitto Lee Miller decise di stabilirsi a Londra e ottenne l’accreditamento come corrispondente di guerra per Vogue. Fu una delle due (uniche) donne impegnate sul fronte come fotoreporter per l’esercito degli Stati Uniti. Nel 1944 collaborò con le riviste Time e Life, lavorando al fianco di David E. Scherman in un continuo documentare gli orrori della guerra, le battaglie e la liberazione dei campi di concentramento da parte degli Alleati. Le fotografie scattate a Dachau e Buchenwald sono veri e propri documenti storici, in cui vengono fissate per sempre le sofferenze dei prigionieri e le atrocità commesse dai nazisti.
©Lee Miller Archives, England.
Tra le sue fotografie più iconiche, e meno portate in mostra, figura il suo autoritratto nella vasca da bagno di Hitler, scattato con l’aiuto di Scherman. La Miller si immortala intenta a lavare via la polvere di Dachau, dopo aver abbandonato gli scarponi sporchi di fango sul pavimento. Come lei stessa afferma su Vogue: «I took some pictures of the place [Hitler’s residence] and I also got a good night’s sleep in Hitler’s bed. I even washed the dirt of Dachau in his tub». Terminata la guerra Lee Miller proseguì la sua carriera di fotografa, nonostante il disturbo da stress post-traumatico del quale soffrì per anni. Agli inizi degli anni ‘50 pubblicò il suo ultimo pezzo per Vogue (Working Guests, luglio 1953).
Lee Miller morì nel 1977, lasciando a suo figlio un’eredità di circa 60.000 negativi, 20.000 stampe e provini, documenti e scritti, tutti inscatolati e ben riposti nell’attico di Farley Farm House.
Note: [1] Era il 1929 e Lee Miller fu la prima modella a “mettere la faccia” in una pubblicità di assorbenti femminili. La fotografia, scattata da Steichen e acquistata ad insaputa della modella dal marchio Kotex, suscitò un notevole scalpore mediatico. [2] Lee Miller fu vittima di violenze sessuali da parte di un amico di famiglia. L’evento risale a quando l’artista aveva solo sette anni. Dopo l’esperienza come fotoreporter di guerra subì di un forte disturbo da stress post traumatico.
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