Durante i primi anni della guerra ci fu una rete di informatori che tenne sotto controllo i movimenti delle opere d’arte trafugate.
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“Siviero era veramente un uomo tridimensionale, scolpito a tutto tondo, bisognava girarci intorno per capirlo, e questa era la sua forza, la sua importanza psicologica, con una componente innegabile di istrionismo”.
Rodolfo Siviero è conosciuto come il più abile cacciatore di beni culturali trafugati dai nazisti in Italia tra il 1938 e il 1945 e come colui che salvò il patrimonio culturale italiano nonostante gli ostacoli della burocrazia e la mancanza di fondi. I suoi metodi rocamboleschi e avventurosi e il suo fascino di uomo colto e raffinato gli valsero il soprannome di “007 dell’arte”. Per la maggior parte degli anni agì senza un appoggio diplomatico per richiedere d’autorità ai tedeschi la restituzione delle opere italiane, senza soldi ma con compagni fidati che lo aiutarono nella sua missione.
Rodolfo Siviero nacque il 24 dicembre 1911 a Guardistallo, un piccolo centro meridionale nella Maremma pisana della Val di Cecina. I suoi genitori erano Giovanni Siviero, sottufficiale dei carabinieri e comandante della piccola stazione locale, e Caterina Bulgarini.
Nel 1924 la sua famiglia si trasferì a Firenze permettendo al giovane Rodolfo di dare ampio sfogo al suo interesse per la letteratura e per l’arte, dedicandosi a letture impegnative e alla frequentazione di musei. Si propose anche per diverse testate come critico artistico-letterario, ma solo nel 1932 Giovanni Papini riuscì a farlo collaborare con Il Bargello, facendogli pubblicare articoli di politica e di costume, ma non riuscì mai a ricevere un adeguato compenso. Iniziò quindi a candidarsi al Ministero in qualche incarico politico o culturale all’estero.
Dal 1935 al 1938 le notizie su Siviero sono contraddittorie: la sua rete di conoscenze politiche e diplomatiche gli consentì di proporsi come giornalista anche all’estero, forse anche per missioni a scopo propagandistico del regime fascista. Secondo le fonti presenti negli archivi di casa Siviero a Firenze potrebbe essere questo il periodo in cui Rodolfo si accostò all’intelligence militare. Verso la fine del 1937 infatti Siviero venne arruolato tra i ranghi del SIM (Servizio Informazioni Militari) e mandato in Germania in qualità di studente d’arte dell’Università di Firenze per svolgere un’attività spionistica per conto del generale Onnis: doveva controllare la situazione relativa all’antisemitismo e la posizione della Germania in merito, oltre a verificare gli arrivi di autocarri carichi di opere d’arte.
Questa ipotesi è supportata dal fatto che Siviero non era laureato e nessuno sapeva che tipo di studi avesse fatto, questo avvalora la tesi secondo cui la borsa di studio in storia dell’arte che gli permise di andare in Germania non era altro che una copertura, poiché il suo nome non risultava neanche negli elenchi dei laureandi in lettere dell’Università di Firenze.
Siviero lavorò per il SIM fino alla fine del 1938 con alcuni rientri in patria per dare riscontro su ciò che aveva scoperto, grazie anche alla rete di informatori che aveva creato e che mappava insieme a lui i movimenti dei tedeschi e dei loro convogli. Nel dicembre del 1938 Rodolfo fu espulso dalla Germania come “persona non gradita”, probabilmente perché i tedeschi stavano iniziando ad avere alcuni sospetti su di lui e sulle sue idee antisemite, lo stesso Siviero infatti affermava di aver preso i primi contatti con gli ufficiali dei servizi inglesi e francesi per creare un’azione difensiva pronta per il trafugamento tedesco delle opere d’arte, confermando l’idea secondo cui Rodolfo agiva su più fronti per poter operare nell’ambiguità e per poter accedere ai documenti e agli elenchi delle opere richieste dai tedeschi.
Durante la guerra iniziò a collaborare attivamente col suo manipolo di uomini creando un servizio, denominato Delegazione per il Recupero delle Opere d’Arte, che aveva sede nell’odierna Casa Siviero, un tempo appartenuta a Giorgio Castelfranco, direttore generale delle Belle Arti del governo di Salerno. Castelfranco aiutò Siviero nel suo lavoro di controspionaggio e recupero, la sua biblioteca infatti conservò per tutta la guerra tra le pagine dei volumi gran parte dei documenti appartenenti ai tedeschi.
L’organizzazione creata da Siviero era agli ordini del Comando del Mediterraneo ed era composta da diverse personalità: il colonnello Domenico Odello, il colonnello Umberto Galloni, che aveva il compito di arruolare i nuovi membri, il tenente Bruno Becchi che diresse la raccolta di documenti e di spostamenti del Kunstschutz, il capitano Andrea Orsini Baroni, il maresciallo Nicola Lella, la guida di museo Bruno Sardelli, il sergente Rino Cioni, a cui si devono operazioni rischiosissime di inseguimenti e di controlli delle operazioni del Kunstschutz, e il barista Cesare Toccafondi.
L’organizzazione da lui creata era articolata su tre sezioni: la prima sezione aveva il compito di informare il Comando alleato dei piani e delle azioni delle forze armate naziste ed era comandata dal colonnello Domenico Odello; la seconda sezione doveva avvertire le formazioni partigiane dei rastrellamenti che i nazi-fascisti avrebbero intrapreso, e di questa era responsabile il colonnello Umberto Galloni; la terza sezione doveva mettere in salvo sia le persone perseguitate dal regime sia le opere d’arte. Le notizie venivano scambiate al Caffè del Porcellino in piazza delle Logge del Grano a Firenze per tramite del barista Cesare Toccafondi.
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