Storico e critico d’arte, gallerista, saggista e accademico italiano con cittadinanza francese: tutto questo è Philippe Daverio, col suo immancabile papillon colorato, i suoi occhialetti tondi e il suo stile eccentrico.
È passato un mese dalla scomparsa di un’altra figura importante nel campo artistico, dopo la morte di Germano Celant, e non possiamo fare altro che ricordare tutte le grandi imprese che Daverio ha portato avanti lungo tutta la sua vita. Era un uomo instancabile e dalle mille idee, lo testimonia anche la moglie Elena Gregori: “Penso che non se lo aspettasse nemmeno lui di andarsene, non dico che fosse giovane ma a 70 anni non si è neanche decrepiti e aveva ancora tantissimi progetti, le bozze di tantissimi libri da finire”.
Ha intrapreso un corso universitario studiando economia e commercio alla Bocconi di Milano, non completando gli studi dal momento che credeva che non fosse necessario ricevere il titolo ma seguire solo i corsi per studiare e informarsi. Nonostante questa scelta intraprese un percorso artistico aprendo la Galleria Philippe Daverio in via Montenapoleone 6 a Milano, raccogliendo tutti i movimenti d’avanguardia del primo Novecento, sancendo il suo profondo interesse per questo periodo artistico. Undici anni dopo apre anche una seconda galleria a New York e nel 1989 una terza galleria, ancora a Milano. In tutti questi anni ha organizzato numerose mostre dedicate a grandi artisti del ‘900, tra cui Osvaldo Licini, Kazimir Malevic, Alberto Giacometti, Ottone Rosai, Auguste Rodin e molti altri (la lista completa la potete trovare nel suo sito ufficiale: www.philippedaverio.it/biografia.php).
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Nel 1999 intraprende anche un percorso televisivo, diventando pian piano un divulgatore d’arte dai toni colloquiali, interessato a raggiungere più gente possibile grazie al suo stile semplice e travolgente. È così che inizia la sua collaborazione come inviato speciale per la trasmissione Art’è, per poi passare nel 2011 a condurre Passepartout, una serie a puntate dedicate a un tema specifico e sempre diverso, con l’arte come colonna portante. Ha condotto anche Emporio Daverio su RAI 5 proponendo un viaggio attraverso le bellezze italiane da conoscere e preservare. In tutte queste puntate Daverio racconta aneddoti, leggende e curiosità legate ai vari luoghi in cui si avventurava, sempre con metodo semplice e confidenziale ma estremamente convincente!
Ha collaborato anche con riviste e quotidiani di spessore tra cui Panorama, Vogue, Avvenire, Il Sole 24 Ore, National Geographic e il Touring Club, con oltre 50 pubblicazioni. Tra le più importanti si possono ricordare i due cataloghi ragionati di Giorgio De Chirico e Gino Severini. È stato anche direttore del periodico Art & Dossier, rivista abbinata a piccoli dossier dedicati sempre a singoli artisti o approfondimenti di movimenti importanti, e consulente per la casa editrice Skira. Amava definirsi un “antropologo culturale del pettegolezzo” per la sua capacità di ricercare “rumori che stanno negli edifici, i bisbigli che stanno nei dipinti, i sussurri fra le righe di una poesia e i silenzi fra le note di una musica”.
Ha avuto anche un lato politico molto impegnato diventando dal 1993 al 1997 assessore con delega alla cultura, al tempo libero, all’educazione e alle relazioni internazionali del comune di Milano e creando nel 2011 il movimento d’opinione Save Italy per sensibilizzare i cittadini in merito alla salvaguardia dell’immensa eredità culturale italiana.
Philippe Daverio è stato un uomo eclettico ed eccentrico, che ha deciso di donare la sua vita all’arte dimostrando un amore incondizionato e il desiderio di aprire le porte delle sue conoscenze a tutti, non facendo differenze.
“Oggi grazie al web- scriveva su Luoghi dell’infinito – i musei possono competere con gli stadi come luogo nei quali si riversano le masse. Ma tra stadi e musei ci sarà sempre una differenza sostanziale: anche i turisti distratti desiderosi sono di dire “ci sono stato”, pur nella fretta potranno essere colpiti dalla bellezza del luogo e degli oggetti. Grazie a internet potranno rivederli, e ripensarci; la cultura lascia sempre un segno. E in queste cattedrali laiche l’animo trova orizzonti più vasti, che parlano dell’eterno”.
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