Valeria Secchi è una giovanissima artista di casa tra Sassari e Berlino. Le sue fotografie sono una continua sperimentazione, un invito a guardare oltre le apparenze. Il bianco e nero domina tutta la prima parte della sua produzione, un lavoro di introspezione e profonda conoscenza di sé a cui fa seguito la più recente ricerca, fatta di colori squillanti e soggetti estrapolati dal mondo circostante. Ciò che caratterizza il lavoro di Valeria Secchi è un’acuta osservazione della realtà, delle peculiari stranezze della società odierna, dei suoi eccessi e delle sue contraddizioni.
La giovanissima artista scruta con occhio critico e indagatore i trend e i fenomeni legati al web e li restituisce nella sua personale visione, a tratti ironica, a tratti grottesca. Come lei stessa afferma: «(…) i miei lavori rielaborano i trend e i canoni del mondo dei social attraverso figure iper-caratterizzate, alle prese con le ambizioni e le paure del nostro tempo. Queste figure vivono in un mondo-pubblicità di cui sono prodotti e acquirenti; il loro agire si fonda sulla base di tutorial che consigliano come raggiungere un certo obbiettivo, dal lifting perfetto e a basso costo alla popolarità online in cambio di preghiere e like».
Ogni volta che si trova dall’altra parte dell’obiettivo, Valeria diventa interprete di un personaggio, di una storia vissuta o ascoltata; l’attenzione è tutta sul soggetto, sulle sue incertezze, sul volersi mostrare e su come farlo, rispettando regole e meccanismi ben precisi. L’ispirazione arriva spesso dall’esigenza di comprendere il nostro tempo e l’autoritratto diventa necessario per mettere subito in essere l’idea. In un mondo virtuale in cui apparire è la parola d’ordine, l’artista rielabora i canoni della maschera contemporanea – quella che ogni utente indossa ogni volta che condivide un contenuto sui social – e l’architettura formale, cromatica ed estetica delle composizioni fotografiche studiate ad hoc per le stesse piattaforme, muovendosi sul medesimo palcoscenico dei suoi “casi studio”.
Non solo web e social media: grazie ai video e alla fotografia Valeria innesca profonde riflessioni politiche e di genere, con un focus sempre attivo sulla schiacciante attenzione della società nei confronti della perfezione e della bellezza massificata. In questa intervista ci racconta di più sulla sua ricerca, sulle sue fonti di ispirazione e sui prossimi appuntamenti in calendario.
Ciao Valeria, benvenuta nel salotto di ZìrArtmag. Raccontaci un po’ di te: qual è stato il tuo primo approccio con il mondo dell’arte e quale la tua formazione?
Ho studiato Filosofia all’Università di Sassari, la mia città natale. Scelsi questo percorso accademico con l’intenzione di dare ordine al mio pensiero. Studiai con passione ma senza devozione; verso la filosofia e i suoi maestri provavo un miscuglio di affetto e diffidenza, qualcosa di simile al sentimento di un’amante tradita. I suoi libri, tuttavia, rimangono per me posti in cui tornare o far visita.
Frequentai l’Accademia Mario Sironi dopo essermi laureata. Quello di dedicarmi all’arte è stato un desiderio in me sempre presente ma costantemente rimandato fino alla sua prevalsa. Credo che il mio primo approccio al mondo dell’arte contemporanea risalga a quegli anni: in Accademia iniziai a relazionarmi alla fotografia e al video, con entrambi lavoravo rigorosamente in bianco e nero. Il mio metodo era semplice; operavo con gli elementi che ritenevo essenziali, scomponevo i pezzi, così come la filosofia fa con le parole. Dell’immagine amo la sua possibilità di non farsi alfabeto.
Attualmente vivi e studi a Berlino: come procede la tua esperienza presso il Berlin Art Institute?
Ho preso una pausa dalla scuola. Questo è un periodo in cui sento di dover riiniziare da capo o di dover chiudere un ciclo, non so quale delle due esattamente. Sono momenti che definirei di raccolta, per me comuni (e salutari!) in relazione al mio lavoro.
All’interno della tua produzione la fotografia si fonde all’azione, dando vita a risultati esteticamente e concettualmente molto forti. Quali sono le tue fonti di ispirazione?
In generale mi colpiscono adattamento e reinterpretazione: il primo lo trovo nel quotidiano, la seconda nelle arti.
Alberto Moravia racconta ne Il conformista la volontà di adesione attraverso Marcello Clerici il cui desiderio è quello di essere normale, conforme. Nel romanzo, la normalità che il protagonista agogna si declina in un cosciente allineamento della sua persona a quella degli altri: Marcello si adatta ad uno stile di vita comune, piccolo borghese. Gli altri allora diventano le sue movenze, il suo linguaggio, i suoi abiti, la sua ombra.
Il palcoscenico che oggi, a mio avviso, si presta maggiormente a questa recita incessante è il web. La struttura stessa dei social consente e promuove un’identità collettiva, o meglio, una maschera collettiva. Di questa, non direi affatto che è meramente estetica ma non azzarderei a definirla ontologica; noto tuttavia che comprende certi linguaggi e comportamenti, ambizioni e trame che nella condivisione si affermano come tendenza o normalità nell’accezione di Moravia.
Della reinterpretazione invece mi colpisce la capacità di dire una cosa senza dirla. O di dire qualcosa che non sia quello che pensiamo dica. Mi vengono in mente a questo proposito Rabbits di David Lynch ma anche Everyone I have ever slept with di Tracey Emin e Il lupo della steppa di Hermann Hesse. Le mie influenze non sono strettamente legate all’arte contemporanea; cinema, letteratura, cronaca e fumetto contribuiscono in maniera importante al mio modo di pensare e operare.
Utilizzi il medium fotografico per scavare nel profondo della società contemporanea, portando avanti una ricerca che evidenzia gli stereotipi e le contraddizioni del nostro tempo. Oltre ad un chiaro intento di denuncia sociale e politica, nei tuoi autoritratti è insita la voglia di comprendere personalmente le dinamiche di questo mondo ed esorcizzare le paure e le insicurezze che da esso derivano?
Parlo di certe tematiche perché le vivo o altri le vivono per me e me le raccontano; la mia prospettiva non è quella di un deus ex machina, mi piace guardare le cose negli occhi.
L’immagine fotografica o video è la conseguenza di una relazione tra me e il mondo, tra il suo racconto e la mia lettura. Potremmo definirlo un esorcismo in parte, perché sono restia all’idea di lasciare andar via le cose.
I social media e la spasmodica ricerca della perfezione rientrano spesso tra le tematiche che affronti. Che rapporto hai con la realtà “virtuale” dei social e con le sue regole?
È un rapporto scostante. Declino l’invito di essere sempre presente. Associo Instagram alle televendite e ai peep-show. Mi scopro anche io voyeur di tanto in tanto ma detesto spie e spioni e allora correggo il tiro. Sul ruolo di quelli che vengono considerati i modelli sui social voglio rimandare al documentario Almost Human (2019) di Jeppe Rønde. Tra i casi dibattuti, c’è quello di un giovane danese diventato famoso perché sosia di Justin Bieber. Il narratore ci spiega che la somiglianza diventa sui social un valore, è la merce che il ragazzo vende. Ancora, dunque, la ricerca di normalità, qui espressa come imitazione.
Hai uno studio, un angolo destinato alla creatività in cui sei solita lavorare, o organizzi i tuoi set fotografici a seconda del luogo in cui nasce l’idea?
Scatto quasi sempre in ambienti interni, privi di arredamenti, l’attenzione va al soggetto. Nella casa di Berlino ho allestito un piccolo studio che mi consente di lavorare in ogni momento. Non escludo tout court la possibilità di scegliere, in base all’idea, altre ambientazioni.
Progetti futuri (mostre, collaborazioni ecc.)?
Alla fine di settembre torno in Piemonte con due mostre: la prima Riphoto a Rivarolo Canavese a cura di Area Creativa 42, dal 19 settembre al 18 ottobre; la seconda Paratissima Talents a Torino dal 24 settembre all’11 ottobre. Entrambe le mostre sono il frutto di un enorme lavoro da parte degli organizzatori che sono riusciti a portare avanti i rispettivi progetti nonostante le restrizioni legate al covid.
Per ulteriori informazioni visita il profilo dell’artista, attiva su Instagram come @valeria_secchi.
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