Negli anni ‘90 la ricerca artistica ha compiuto un passo verso il mondo dell’alterità, iniziando a considerare l’animale come una parte dell’essere umano e non più come quell’alter ego negativo da cui allontanarsi. Questa filosofia, conosciuta come post human (dalla celebre mostra di Jeffrey Deitch del 1992) ha ispirato molti artisti, tra cui l’australiana Patricia Piccinini.
L’artista compie una ricerca per capire cosa significa essere umani in un mondo in cui le biotecnologie e l’ingegneria genetica stanno trasformando in maniera radicale il rapporto tra uomo e animali e tra uomo e natura: invita le persone ad entrare nel suo mondo popolato da animali ibridi che chiedono solo di poter vivere in una realtà capace di accettare le loro diversità e le loro vulnerabilità. I suoi lavori trattano il tema del compromesso e in particolare il fatto di “essere capaci di trovare la bellezza in un mondo che non potrà mai essere perfetto”: dopotutto le creature a cui lei stessa dà vita sono uno specchio delle scelte della società odierna, capaci di attrarre l’attenzione degli esseri umani in quanto “guardando i lavori di Piccinini guardiamo anche noi stessi”.
La creazione delle sue opere ha un processo lungo e diviso in varie fasi. Il primo passaggio prevede l’uso del disegno per imprimere l’idea iniziale da sviluppare in seguito, la seconda fase riguarda la ricerca e la successiva collaborazione con diversi esperti quali disegnatori professionisti, animatori digitali, scienziati, ingegneri, chimici ed esperti nella stampa 3D e nella lavorazione di materiali plastici. Lei stessa, infatti, afferma: «immagino il mio lavoro poi metto insieme tutti i pezzi. Se non avessi tutte queste fantastiche persone che lavorano nei miei progetti non lavorerei. Non voglio che le mie idee siano limitate da quello che solo io posso fare fisicamente. L’idea viene prima di tutto».
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Insieme agli esperti – in funzione del tema e del modo migliore in cui questo può essere espresso – l’artista sceglie il materiale da utilizzare. Nella maggior parte dei casi la scultura in silicone risulta essere la soluzione migliore per la capacità di questo materiale di racchiudere ogni singolo dettaglio e dare estremo realismo agli ibridi che Patricia crea, lavorando su quello che la colpisce.
La maggior parte delle sue opere sviluppano temi legati alla medicina e alla bioetica, in particolare la sperimentazione di nuove forme di vita. L’interesse per questo tema nasce ancora quando era giovane: la madre infatti era molto malata e Patricia sperava in un aiuto da parte della scienza per curare la malattia che alla fine risulta incurabile. Sono rimaste comunque la fiducia nel progresso della scienza e l’interesse dell’impatto che ha sulle persone, in particolare quello che l’uomo è capace di creare ma che non può controllare e che a sua volta può portare a qualcosa di inaspettato ma fantastico. L’artista infatti sostiene: «le mie simpatie sono più per i fallimenti incontrollati dell’uomo. Penso che siano più intriganti e stimolanti e io celebro la loro indipendenza. È sia il trionfo che la tragedia della maggior parte delle mie creature e io le amo per questo». In altri casi le idee per le sue opere vengono dalle notizie che lei stessa apprende dai giornali e dalle varie relazioni tra le diverse creature.
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Le sue creature assumono forme particolari, sembrano innaturali e quasi bizzarre ma confondono per il loro aspetto amichevole e per le pose infantili. Dopo un momento di esitazione ci si sente subito coinvolti dagli occhi di questi teneri ibridi e si prova affetto e desiderio di prendersi cura di queste creature, come lei stessa afferma: «solo perché qualcosa sembra cattivo non vuol dire che non sia buono». Le differenze che caratterizzano il rapporto tra uomo e animale e l’allontanamento da creature considerate brutte forse non sono così importanti come sono sempre state evidenziate, si fa avanti quindi un nuovo modo di pensare che fa spazio alle creature ibride di Piccinini. Molti soggetti presenti nei suoi lavori sono dei bambini perché, da un lato, rendono l’idea della genetica legata allo sviluppo del corpo e, dall’altro, implicano delle responsabilità verso coloro che li hanno messi al mondo. I bambini rappresentati sono abbastanza giovani per accettare le stranezze del mondo senza però giudicarlo; essi racchiudono l’idea della vulnerabilità che contraddistingue anche i suoi ibridi e sono fonte di empatia e di insegnamento in quanto si avvicinano agli ibridi con innocente curiosità. Ecco che questi ibridi diventano un input di partenza per ragionare anche sui doveri dell’uomo nei confronti delle forme di vita che lui stesso crea attraverso l’uso delle nuove tecnologie; spesso infatti queste creature possiedono occhi espressivi capaci di suscitare empatia in chi le guarda. Di seguito vi parlo di alcune di loro.
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SO2- SIREN MOLE, 2001
Il primo organismo sintetico creato da Piccinini è Siren mole, una creatura dalle strane forme ibride. Nata come disegno e poi diventata immagine 3D, caratterizzata da un corpo simile a un grumo di carne embrionale, la grande testa priva di capelli e le gambe corte rendono la creatura completamente dipendente dall’essere umano.
Il nome attribuito a questo ibrido è SO2, un riferimento a “SO1”, il primo microrganismo sintetico creato in laboratorio. Questa notizia ha molto colpito Piccinini proprio perché “SO1” è stato creato dal nulla unendo delle sostante chimiche tra loro: «si tratta di mettere insieme delle sostanze e creare una nuova vita. È sbalorditivo. Davvero fenomenale». Il suo lavoro pone l’accento sulle conseguenze morali ed etiche che accompagnano la creazione di questi nuovi ibridi e la forza delle sue creature diventa la capacità di trasmettere empatia tra il creatore e la creatura nata dalle sue mani che consente loro di sperare in un futuro diverso e positivo.
La presenza di questa vita nel mondo contemporaneo porta con sé una serie di domande di natura etica: quali sono i doveri dell’uomo di fronte agli ibridi chimici che lui stesso crea? Che differenza ci può essere tra un animale e la tecnologia che si impiega per creare questi ibridi? È giusto utilizzare gli animali per scopi personali e strettamente legati al mondo umano? Piccinini non vuole dare un parere positivo o negativo ma propone un’attitudine all’amore, finalizzata ad accettare i propri doveri come creatore e prendersi cura della progenie.
Clicca qui per vedere l’opera: http://www.patriciapiccinini.net/archives/sirenmole/siren_image11.html
THE YOUNG FAMILY, 2002
Una madre dalle strane forme ibride a metà tra un essere umano e un maiale sta allattando i suoi cuccioli distesa su un comodo divano bianco. La sua espressione è molto pensierosa e triste, a tratti stanca, elementi che tradiscono l’età piuttosto avanzata della creatura. Il suo atteggiamento umano e la generosità materna dimostrata mettono quasi in secondo piano le imperfezioni fisiche di questo ibrido che comunque non sconvolgono più di tanto in una realtà in cui i confini tra le varie specie stanno diventando sempre più labili.
La tecnologia contemporanea sta progettando delle nuove soluzioni per il trapianto di organi che prevedono l’utilizzo di organi animali, tra cui quelli dei maiali. La creatura creata dall’artista sembra quasi essere stata creata per rispondere a questo bisogno umano e forse lo sguardo di rassegnazione nascosto sul volto dell’animale allude alla consapevolezza del futuro che aspetta lei o la sua prole. La presenza dei piccoli però rende più difficile la scelta dell’uomo perché quello che vede davanti a sé è una creatura dai tratti quasi umani che si occupa dei suoi bambini come se fosse un essere umano qualsiasi. Questo crea un senso di empatia fortissima che rende difficile, quasi impossibile, decidere tra la sua vita e quella dell’uomo per cui questi ibridi sono stati allevati e cresciuti. Queste emozioni sembrano concedere la possibilità all’essere umano di riconciliarsi con le sue creazioni biochimiche e di accettare le diversità che lo distinguono dalle altre specie, cercando di salvare l’essere umano dalla sua indole di controllare l’indesiderato o il difettoso.
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BIG MOTHER, 2005
Big Mother è un ibrido nato dalla commistione dell’essere umano – del quale compaiono il seno e i capelli lunghi – con un babbuino, di cui rimangono alcuni tratti come il viso e la posizione degli arti. Sul braccio sinistro è accoccolato un neonato umano che riposa tranquillamente, avvolto in una coperta. Il volto della creatura è malinconico: l’ibrido è nato per allevare i suoi piccoli ma nella realtà non potrà mai avere un cucciolo d’uomo da accudire e questo la fa soffrire.
Questa scultura è stata ispirata da due fatti personali raccontati dalla stessa artista. Il primo riguarda i primi anni di vita in Sierra Leone e in particolare una notizia di cronaca che riguarda un babbuino e il rapimento di un neonato. Un amico raccontò a Patricia che la sorella era stata rapita da un babbuino in lutto per aver perso il suo piccolo: spesso accade infatti che questo animale soffra così tanto per la morte del proprio piccolo tanto da portarlo tra le braccia finché non si dissolve. Questo particolare esemplare stava soffrendo così tanto da rapire un neonato umano e portarlo con sé per crescerlo come fosse suo figlio. La vicenda ha colpito così tanto l’artista poiché dimostra che le differenze tra l’uomo e l’animale si annullano quando si tratta dell’amore per i propri figli. Il secondo fatto è estremamente personale e riguarda la sua difficoltà nell’allattare il figlio Hector. La sorella le ha consigliato di provare ad allattare la figlia per imparare come fare e solo dopo di riprovare con Hector, riuscendo a ottenere un esito positivo. Questa situazione l’ha fatta riflettere su quanto sia stato strano allattare il figlio di un’altra persona ma allo stesso tempo di come ogni giorno l’uomo si trova a proprio agio a bere il latte di altri animali come la mucca. Da questi episodi è nata appunto questa splendida scultura. La scelta di questo ibrido è legata al ragionamento sulla rivoluzione di natura sessuale che l’uomo sta vivendo in questi anni: da un lato recenti ricerche hanno dimostrato come larghe porzioni del DNA umano è in comune con altre creature, dall’altro lato il cambiamento in tema di riproduzione poiché ora è possibile avvalersi di semi o di fecondazione in vitro per avere figli.
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THE FOUNDLING, 2008
Un piccolo bambino dai tratti sgraziati e quasi animaleschi fa capolino da un ovetto per neonati, coperto da un lenzuolo bianco. Gli occhi grandi chiedono solo grande amore e un posto a cui appartenere, proprio perché è stato abbandonato a causa del suo aspetto non gradito. L’artista racconta che quest’opera è nata in seguito a una conversazione avuta con una donna durante l’esibizione del 2007 al Frye Art Museum di Seattle nella quale la donna ha raccontato a Patricia di aver adottato due bambine cinesi di 7 e 11 anni, abbandonate dalla loro famiglia perché soffrivano di palatoschisi. Questa storia ha fatto nascere in Patricia il desiderio di ricreare una situazione simile, in cui il soggetto diventa la sua stessa creaturina ibrida. La scelta di questo soggetto ha un duplice livello di lettura perché da un lato porta lo spettatore a chiedersi come può migliorare le condizioni di questa piccola creatura, dall’altro lato si pone una domanda etica più profonda, ossia “che responsabilità abbiamo per gli errori che facciamo?”.
Ph. by KeyVee.INC – fonte: FLICKR
Per maggiori informazioni visita il sito dell’artista, attiva anche su Instagram come @patricia.piccinini.
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