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Fun facts | Tutte le volte che il calcio incontrò l’arte (e la moda)


È un accostamento al quale si pensa di rado quello dell’arte al mondo del calcio. Due mondi che viaggiano su binari diversi e che difficilmente trovano il modo di coesistere. E se per alcuni vecchie glorie calcistiche come Roberto Baggio e Zinedine Zidane possono essere considerati degli artisti del pallone, molti altri invece rabbrividiscono all’idea di paragonare il pallone all’arte.

Il calcio, così come altri sport più popolari, ha visto negli anni ‘90 il picco della sua popolarità. Sono gli anni in cui l’Italia vanta la quarta economia più forte del mondo e gli Stati Uniti si sono appena lasciati alle spalle la Guerra Fredda. La pubblicità legata al mondo del calcio in quegli anni è tanto martellante quanto essenziale a tutto il movimento sportivo per continuare la sua espansione globale.

Ma partiamo proprio dal 1990 e dal mondiale italiano che si inaugura a Milano, capitale italiana della moda e dell’arte. La cerimonia rivendica con orgoglio questa appartenenza, organizzando una sfilata pochi minuti prima del calcio d’inizio della storica vittoria del Camerun sull’Argentina, nella partita d’apertura della manifestazione. Ogni continente presente con almeno una nazione al mondiale viene presentato in passerella da diverse case di moda italiane: Valentino per l’America, Gianfranco Ferrè per l’Europa, Mila Schon per l’Asia e Missoni per l’Africa.

 

 

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La vittoria finale del torneo sarà portata a casa dalla Germania Ovest proprio contro l’Argentina di Maradona, che non riesce nell’impresa di 4 anni prima in Messico in quel mondiale passato alla storia per il gesto più iconico del calcio, quello della “Mano de Dios”. Gesto plasmato poi dall’artista Hank Willis Thomas nella sua omonima opera.

 

 

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Thomas è uno dei molti artisti ad aver a suo modo usato il calcio per creare un pezzo d’arte. Basti pensare che negli stessi anni, una volta che la Croazia dichiarò l’indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991, venne commissionato a Miroslav Sutej, artista d’avanguardia e grafico pubblicitario, il compito di realizzare la bandiera nazionale, la divisa da gioco e il design delle banconote della nuova valuta. La texture a scacchi bianchi e rossi è ancora oggi simbolo identificativo della nazionale croata, diventata celebre nel suo esordio di Francia 98 e classificatasi terza, in quello che molti considerano come il mondiale per definizione.

 

 

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Altra nazionale che merita una menzione d’onore in quell’edizione fu sicuramente il Messico, in particolare Jorge Campos, portiere di soli 170cm. Oltre ad avere la particolarità di alternare il ruolo di portiere a quello di attaccante, Campos ebbe come altra peculiarità quella di disegnare e cucire le proprie divise da gioco: un giocatore eclettico che riuscì a spiccare anche per le sue particolari doti artistiche. Al mondiale francese però si dovette accontentare di una divisa da gioco “normale” per colpa del regolamento voluto da Blatter, ex presidente Fifa. Quell’edizione venne però giocata dai suoi compagni di squadra con una maglietta altrettanto stravagante, disegnata seguendo lo stile tradizionale azteco tipico del Messico.

 

 

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Ma calcio e arte non si trovano di comune accordo solo sulle stravaganti maglie da gioco degli anni ‘90. Infatti, se per l’arte ci sono i musei, per il calcio ci sono gli stadi, luoghi di culto e memoria che in fin dei conti non differiscono più di tanto dai musei (si fa per dire). Tra tutti l’Heysel, palcoscenico di una finale di Coppa dei campioni finita in tragedia per un cedimento strutturale. O l’Estadio Nacional di Santiago del Cile, luogo che nell’anno del golpe Pinochettista venne utilizzato come campo di concentramento e tortura. Un luogo snaturato dalla sua funzione primaria, quella del divertimento. Con un’installazione risalente al 2006, l’artista cileno Sebastian Errazuriz è riuscito a ridare l’importante valore storico allo stadio posizionando un albero di magnolia al centro del campo e lasciando libero accesso al prato per una settimana, al termine della quale è stata giocata una partita tra due squadre della capitale. Un intervento simile è stato fatto di recente anche dall’artista svizzero Klaus Littmann, che ha ricreato un bosco tipicamente europeo formato da più di 300 alberi all’interno dello stadio di Klagenfurt. L’opera, chiamata For Forest, invita lo spettatore a riflettere sul ruolo dell’ecologia e dall’artificialità.

 

 

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Chiudendo il cerchio e tornando in Italia, lo stadio rappresenta anche un luogo di semplice sperimentazione. Come nel lavoro di Yuri Ancarani, che nello stesso Giuseppe Meazza di Milano, luogo dal quale siamo partiti in questo excursus tra arte e pallone, interpreta il rapporto tra lo stadio e il fruitore grazie all’uso dell’audiovisivo in questo corto-metraggio.



Il paragone è sicuramente azzardato, ce ne rendiamo conto, ma ci piace pensare che l’arte possa aver giocato un ruolo importante anche in una realtà celebre per altri meriti e demeriti.

Ricordando le parole di un grande artista: “il pallone è una bella cosa, ma non va dimenticato che è gonfio d’aria” (Giovanni Trapattoni).


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