Armando Cabba predilige la tela e dipinge utilizzando la tecnica ad olio, materiale che gli consente di rendere la pittura simile alla carne viva, e di interpretare le sfumature e i dettagli più minuziosi della pelle. La ricerca dell’artista canadese ruota tutta intorno al corpo, nelle sue più svariate declinazioni: dal ritratto all’astrazione delle forme, fino ad arrivare al focus sulla sessualità.
Sta vivendo il lockdown da Parigi e trascorre il suo tempo tra tele e pennelli, come di consueto; nella sua routine quotidiana, rispetto al passato, non è cambiato molto: la pittura ad olio richiede lunghi tempi di lavorazione e altrettante ore di asciugatura, un ritmo che scandisce costantemente le sue giornate. Durante la quarantena Armando scrive e pubblica le sue considerazioni sul presente: questi pensieri toccano tanto le questioni legate alla produzione artistica quanto altri innumerevoli argomenti, come ad esempio la gestione del tempo e l’importanza dell’aspetto creativo durante un periodo come quello che stiamo vivendo. Da queste riflessioni traspaiono le sue preoccupazioni sul futuro, i suoi punti di vista, talvolta anche qualche abitudine personale.
Questa grande volontà di apertura verso il prossimo, verso il nuovo e l’inesplorato, si rispecchia anche nelle sue opere e diventa ancora più chiara ed esplicita attraverso le dense pennellate che danno vita ai suoi ritratti. Armando Cabba si concentra sul figurativo e realizza opere aderenti alla realtà, ma non rinuncia mai ad addentrarsi nel mondo interiore, nei sentimenti e nell’essenza dell’uomo, indagando gli universi emozionali che si celano dietro gli sguardi delle persone.
Nato a Montreal, l’artista si laurea nella stessa città, seguendo un corso di pittura e disegno presso la Concordia University; successivamente si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze e decide di aprire uno studio in cui, per alcuni anni, si dedica alla produzione artistica. Trascorso il periodo in Italia, sentendosi limitato dalle convenzioni accademiche, decide di partire e di stabilirsi a Parigi.
La sua è una produzione variegata, un’indagine poliedrica, che prende in considerazione se stesso e l’altro. L’artista gioca con le inquadrature e con gli scorci: per i ritratti, vividi e profondi, utilizza sempre un formato verticale entro cui le persone effigiate prendono posto in piedi, sedute o a mezzo busto; il tema della sessualità, invece, viene solitamente indagato all’interno di un formato quadrato, focalizzando l’attenzione su particolari anatomici immaginati ad una distanza molto ravvicinata, visti da prospettive ardite e fedeli al dato naturale.
Affrontando i più comuni tabù legati al sesso l’artista si muove a metà tra erotico e pornografico, sviluppando una produzione spinta ed esplicita, in cui lo spettatore si può immedesimare rievocando ricordi personali e sommersi. L’atto sessuale, visto e riprodotto nella sua più assoluta normalità, assume i contorni di un’aspra contestazione nei confronti della censura e della repressione, una finestra aperta sulla scoperta di se stessi e dei propri desideri.
Negli ultimi due anni ha realizzato numerosi autoritratti, esplorando il concetto di identità e di sé temporaneo: una persona diversa per ogni stato d’animo, per ciascuno dei momenti in cui l’artista fissa sulla tela l’immagine del suo viso.
Riflettendo sulla frammentazione dell’Io e sulla stessa natura dell’autoritratto, che sottopone l’artista ad una continua analisi dell’interiore, manifestato nelle forme e nei contorni del proprio volto, l’artista afferma: «Each painting is a recording of one’s state of mind thus depicting a persona. Emotions can reoccur but how we experience them can never be duplicated. The grapple between depicting what we see versus how we feel. I believe it’s important in the world of social media to explore moments where we aren’t depicting ourselves in a positive light. These times are what make us human. What is created is the transcript between the artist and themselves. A record of existence reciting the conversation exclusively held in silence and solitude».
Sono autoritratti psicologici quelli di Cabba che, al pari di artisti come Francis Bacon, cerca di rappresentare il suo mondo interiore mantenendo spesso riconoscibile la cornice fisiognomica ma gioca di continuo con i contorni e le cromie che ne compongono i lineamenti, caricandoli di senso.
Materializzazione e smaterializzazione dell’immagine, fino ad arrivare all’astrazione e alla distorsione del reale: il volto diventa evanescente, grottesco, ridotto a poche e contorte linee enfatizzate dall’uso dei colori, che concorrono all’esplicitazione dello stato d’animo di quel preciso momento. L’occhio, specchio dell’anima, viene isolato, moltiplicato, accecato e svuotato dalle mani dell’artista; lo sguardo, sempre fisso e rivolto allo spettatore, si fa malinconico. Ma in questa velata malinconia permane una decisione e una fermezza caratteriale che non scompare mai, nemmeno quando il volto si trasforma in maschera di colore, assumendo contorni poco definiti o colanti, fluidi, informi.
Per ulteriori informazioni visita il sito dell’artista, attivo anche su Instagram come @armandocabba.
Leggi gli altri MTA