La leggerezza del gioco ci ricorda di non prenderci mai troppo sul serio; ha il potere di restituirci la facoltà di vedere oltre le apparenze, oltre gli stereotipi e le convenzioni del nostro tempo. Attraverso il gioco si può reinventare la realtà: immaginarla diversa, da altri punti di vista, capovolgerla e invertirne i ruoli. Nell’occhio del fotografo, in fondo, soggiace proprio questo meraviglioso potenziale: la possibilità di raccontare il vero, oppure l’artificio del sogno.
Alberto Alicata, fotografo classe 1983, si occupa di Street Style; attraverso il suo obiettivo racconta ciò che accade durante le più importanti fashion week, direttamente dai backstage di Milano e Parigi. I suoi scatti hanno fatto il giro del mondo – sono stati esposti dall’Italia alla Cina, fino ad arrivare agli Stati Uniti – e sono stati pubblicati su importanti riviste, non solo di moda: Elle Italia, The Guardian, SkyArte, The Telegraph, Internazionale, Wired e Corriere della Sera sono solo alcune delle numerose testate su cui sono comparsi i suoi servizi fotografici.
La bellezza e le infinite forme del genere femminile sono protagoniste indiscusse di tutta la sua produzione; diplomato presso il Centro Romano di Fotografia e Cinema di Roma, l’artista siciliano ha sperimentato spesso nuovi e inconsueti punti di vista e grazie a questa sua straordinaria capacità di visualizzare modalità alternative di narrazione è riuscito ad ottenere numerosi e importanti riconoscimenti a livello internazionale. Nel 2016, in occasione dei Sony World Photography Awards, è stato insignito del prestigioso premio per la categoria Professional Staged grazie al progetto Iconic B.
In questa serie, in cui l’artista reinterpreta la fotografia di moda e rende omaggio a grandi maestri come, per citarne alcuni, Guy Bourdin, Irving Penn e David La Chapelle, il soggetto non è una donna in carne ed ossa ma Barbie, la più iconica tra le bambole. Attraverso il gioco della sostituzione Alberto Alicata mescola arte e moda, storia della fotografia e rivisitazione contemporanea ottenendo un risultato compositivo ed estetico tanto fedele alle opere alle quali si ispira da non necessitare di alcuna spiegazione aggiuntiva.
Anche nelle serie Humanize e Dedographia ci troviamo di fronte ad immagini eloquenti, di forte impatto visivo: i manichini di legno che “animano” i remake dei baci più famosi della fotografia del Novecento spingono l’osservatore ad una riflessione sull’identità di genere, sul riconoscimento della “diversità” e, allo stesso tempo, scatenano la sua immaginazione, consentendogli di immedesimarsi nei protagonisti di questi piccoli universi in bianco e nero. Allo stesso modo, i lunghi e affusolati colli delle modelle di Dedographia ci catapultano nel mondo di Amedeo Modigliani: all’interno di questa intervista Alberto ci racconta di più su questi progetti e sul suo percorso formativo, lanciando un messaggio di fondamentale importanza.
Ciao Alberto, grazie per aver accettato di fare due chiacchiere nel salotto di ZìrArtmag! Raccontaci di come e quando ti sei avvicinato al mondo della fotografia: qual è stato il tuo percorso formativo?
Ciao! Il mio percorso di avvicinamento alla fotografia ha avuto inizio fin da piccolo perché mio padre era un appassionato che scattava a pellicola e sviluppava le foto con un ingranditore nel garage di casa, quindi fin da subito ho avuto un contatto facilitato. La formazione effettiva è iniziata con l’università: in parallelo agli studi ho iniziato concretamente a fotografare e, successivamente, ho scelto di concentrare tutto il mio tempo su quello, seguendo un Master triennale in fotografia a Roma.
Parliamo di maestri: quali sono, secondo te, i tre fotografi contemporanei che tutti dovrebbero assolutamente conoscere?
Da conoscere sicuramente, come base di partenza, Martin Parr, Salgado e Petra Collins, delle eccellenze assolute nei rispettivi ambiti.
Sappiamo che sei attivo nel settore moda e che ti occupi tanto di Street Style: lavorare in questi ambienti influenza in qualche modo anche il resto della tua produzione?
Assolutamente si, sono tutti ambiti dove la creatività sta alla base e dialogano tra loro quindi anche nel resto delle mie produzioni c’è sempre una ricerca dell’estetica o dello stile.
Nei tuoi lavori giochi spesso con il concetto di genere: mi viene in mente Humanize – per esempio – in cui i remake in miniatura di alcuni famosissimi scatti sono abitati da manichini di legno. Cosa ti ha spinto a voler affrontare temi così importanti ed attuali come il riconoscimento della “diversità” o l’identità di genere?
Alle volte mi piace affrontare dei temi profondi come questi però in modo più giocoso, così da poter lanciare dei messaggi ma con un approccio più leggero. Questo non per rendere meno importante il concetto di base, ma per renderlo più diretto e attirare – attraverso un gioco come quello dei manichini – qualcosa di più elevato e profondo.
All’interno dei tuoi scatti il vero protagonista sembra comunque essere il genere femminile. Le donne, muse in carne ed ossa, vivono immobili sulla pellicola ma anche le bambole, perfette e plastiche, “respirano” all’interno del tuo obiettivo. Ci racconteresti com’è nata la serie Iconic B?
Si, le donne stanno alla base di quasi tutte le mie produzioni. Il progetto Iconic B è nato per caso durante il mio percorso di studi in fotografia. Dovevo per un esame realizzare degli still life e, innamorato di una foto di Guy Bourdin, ho pensato di riproporla a modo mio, utilizzando la Barbie. Da lì, vedendo che il risultato funzionava, ho continuato a farne altre e praticamente non ho più smesso. Ormai è un progetto talmente conosciuto in tutto il mondo che non posso più scollegare il mio nome da quello di Barbie. Porto avanti altri progetti, ma quello con Barbie penso che affiancherà per sempre la mia produzione.
Quest’anno ricorre il centenario dalla morte di Amedeo Modigliani e tu hai quasi concluso Dedographia, serie dedicata ai ritratti femminili del maestro livornese. Che cosa significa, per te, ricreare le opere – pittoriche e fotografiche – dei grandi artisti della storia dell’arte? In particolare, perché hai scelto proprio Modigliani per un progetto come questo?
In realtà quando ho iniziato il lavoro su Modigliani non avevo nemmeno notato che ricorresse di lì a breve il centenario dalla morte. Per il mio background culturale sono sempre stato attratto dall’arte in generale, pittura, scultura o architettura, tutto mi ha sempre incuriosito. Ho sempre visto Caravaggio come il primo “fotografo” della storia: l’utilizzo della luce nei suoi quadri è qualcosa di sublime, considerando l’epoca e che questo non fosse realizzato attraverso la fotografia.
Modigliani mi ha sempre incuriosito, all’inizio negativamente, perché non mi spiegavo il motivo di tale interesse storico nei confronti delle sue produzioni. Decisi così di comprare dei libri su di lui e iniziare a leggere. Di lì a poco me ne innamorai, e capii cosa c’era dietro quella voluta semplicità. A quel punto ho capito di voler fare qualcosa che riportasse ai suoi quadri e mi sono chiesto cosa avrebbe potuto fare Modigliani oggi, avendo a disposizione supporti digitali ed un computer.
Quanto lavoro di post-produzione c’è sulle fotografie di una serie come Dedographia?
La post-produzione c’è ed è evidente, ma per la buona riuscita del lavoro la pre-produzione è stata fondamentale. Gli sfondi delle foto, o ambientazioni, sono tutti reali e creati fisicamente da me. Le ragazze che si sono prestate alla riuscita del progetto sono quasi tutte bellissime ragazze normali (non modelle professioniste), che sceglievo alle volte anche semplicemente vedendole per strada. Trucco e make up hanno fatto il resto. Le concrete modifiche su Photoshop sono per allungare chiaramente il collo ed alle volte per abbassare le spalle. Capelli, trucco, vestiti o altri tipi di dettaglio sono realistici.
Progetti futuri (mostre, work in progress, fiere ecc.)?
Devo fare una premessa a questa risposta. Quando ho ricevuto la richiesta di questa intervista, eravamo in una fase della vita in cui ancora tutto scorreva in modo naturale. Successivamente sappiamo tutti cosa è successo: questo Virus ha stravolto le vite di chiunque, tra cui ovviamente la mia. Avevo in calendario una serie di shooting di moda che chiaramente sono stati rinviati a una data che ancora oggi non ci è dato sapere; inoltre dovevo iniziare a lavorare ad una collaborazione con Mattel per i suoi 75 anni, e Barbie avrebbe fatto parte di una serie di eventi che erano in calendario.
Al momento, quindi, mi occupo molto di progettazione e di sviluppare idee; quel che posso fare è scattare in casa in still life quello che posso, per tutto il resto ci toccherà aspettare un ritorno alla normalità. Perché questo accada serve la collaborazione di tutti, rimanendo a casa. Più la affrontiamo seriamente adesso, prima saremo liberi di tornare alle nostre vite e di poter vedere anche altre foto che non siano quelle scattate dentro le nostre case.
Buona fortuna a tutti, restiamo a casa <3
Per ulteriori informazioni visita il sito dell’artista, attivo anche su Instagram come @albertoalicata.
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