Avete mai speso un minuto del vostro tempo per pensare a quanto l’abbigliamento da lavoro si differenzi a seconda del settore d’impiego? Se la risposta è no, allora dovreste segnare sul calendario la mostra inaugurata presso la Fondazione MAST il 25 gennaio, visitabile fino al 3 maggio 2020.
UNIFORM. INTO THE WORK/OUT OF THE WORK si configura come spazio fertile per la riflessione e pone il visitatore di fronte alla smisurata quantità di divise – diverse per contesto storico, sociale e professionale – che il genere umano è solito indossare in quanto parte attiva della società in cui vive.
La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi
Il progetto espositivo a cura di Urs Stahel prende forma all’interno della Fondazione MAST, specializzata in fotografia industriale e nella multisfaccettata ricerca che ha come protagonisti i temi del lavoro e dei suoi ambienti, suddividendosi in due parti distinte e complementari. All’interno della PhotoGallery è stata allestita la mostra collettiva intitolata La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi: un viaggio tra le uniformi e tra i mestieri del mondo visti attraverso gli occhi di coloro che hanno fatto la storia della fotografia – per esempio Manuel Álvarez Bravo, Walker Evans, Arno Fischer, Irving Penn, Herb Ritts, August Sander – e da famosi fotografi internazionali contemporanei come Paola Agosti, Sonja Braas, Song Chao, Clegg & Guttmann, Hans Danuser, Barbara Davatz, Roland Fischer, Andrè Gelpke, Helga Paris, Tobias Kaspar, Herlinde Koelbl, Paolo Pellegrin, Timm Rautert, Oliver Sieber, Sebastião Salgado.
In mostra non solo una moltitudine di scatti fotografici ma anche otto video firmati da Marianne Mueller che, riprodotti su grandi monitor, mostrano otto vigilanti in divisa intenti a controllare – con sguardo annoiato e alienato – lo spazio espositivo e i suoi visitatori. Ma quanto le uniformi sono in grado di accomunare una cerchia ristretta di persone e quanto invece di dividere l’individuo dalle masse? Come si legge nel comunicato stampa, «le parole “uniforme” e “divisa” rivelano, allo stesso tempo, inclusione ed esclusione», innescando un processo di identificazione e allontanamento che scaturisce quasi automaticamente in base alle nostre scelte e alla nostra cultura.
Il dato che emerge da un’attenta osservazione complessiva delle fotografie in mostra è strettamente legato al potere comunicativo delle uniformi fissate sulla pellicola. Ci basta uno sguardo per distinguere l’artigiano dall’operaio o per riconoscere un infermiere; non è necessario un grande sforzo per immergerci in un mondo che, ancora oggi, si divide secondo un’ormai vecchia ma ancora utilizzata distinzione in “colletti bianchi”- coloro che svolgono funzioni amministrative e direttive – e “colletti blu” – operai di qualsiasi settore – analizzando come e quanto le divise siano veicolo di informazione e senso rispetto all’ambito al quale sono connesse e a come, molto spesso, questa differenza interessi non solo l’occupazione ma diventi indicatore di una distinzione di classe e di status.
I grembiuli dei pescivendoli e degli artigiani, le spesse tute da lavoro confezionate nei colori più diversi e i guanti di sicurezza in uso all’interno delle fabbriche, le uniformi militari e civili, le tonache e gli abiti propri dei culti e delle religioni. All’interno de La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi il mondo e le sue attività sono portati in mostra grazie ad un racconto capace di prendere in considerazione anche quelle che nel nostro quotidiano tendiamo a non riconoscere come vere e proprie divise – ad esempio, quelle dei commessi e delle commesse dei negozi d’abbigliamento o, ancor meglio, gli abiti di una suora o di un prete – ma che fanno comunque parte (seppur in maniera meno impattante o così assimilata dalle nostre consuetudini culturali) di un codice di riconoscimento interno all’azienda. a un movimento o ad una corporazione.
Waled Beshty: Ritratti industriali
La Gallery/Foyer del MAST ospita invece la mostra monografica dedicata al fotografo americano Waled Beshty: Ritratti industriali prosegue sul fil rouge dell’uniforme – o meglio, dell’anti-uniforme – con un percorso espositivo incentrato esclusivamente sul ritratto e su quella che potremmo definire “industria dell’arte”. «L’autore – spiega Urs Stahel – è interessato alle persone nel loro ambiente professionale (che è anche il suo), all’individuo nella sua funzione e nel ruolo che svolge all’interno del mondo e del mercato dell’arte»: partendo da un corpus di 1400 scatti analogici, realizzati dall’artista durante la sua carriera, sono stati selezionati 364 ritratti e suddivisi in sette gruppi tematici da 52 fotografie ciascuno; tra gli effigiati si riconoscono curatori, operatori legati alle istituzioni museali, galleristi e molti altri professionisti del sistema dell’arte, tutti interni ad un settore creativo che li spinge a non volersi omologare e a prediligere l’originalità.
Qual è l’effetto di questa volontà di non indossare un uniforme, di essere riluttanti nei confronti di un’immagine standardizzata e capace di rendere riconoscibili gli operatori di settore? Semplice: l’uniforme si ripresenta, in maniera velata e celata, in ognuno degli outfit scelti dagli effigiati che, nel complesso, appaiono comunque ingabbiati e dipendenti dal proprio contesto di riferimento anche se non indossano una tuta blu o un camice bianco.
Photo Gallery
Informazioni utili:
Titolo: UNIFORM. INTO THE WORK/OUT OF THE WORK
Dove: Fondazione MAST, via Speranza 42 – BO
Quando: dal 25 gennaio al 3 maggio 2020
Orari: da martedì alla domenica ore 10.00-19.00
Ingresso gratuito
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