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Focus | Le collane di Frida: vivere la tradizione


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In occasione dei 65 anni dalla morte di Frida Kahlo, venuta a mancare il 13 luglio 1954, vi proponiamo un estratto dal volume Di Splendente Bellezza. Storie di Corpi e intrecci di sogni[1] (pp. 123-129) in cui si parla dei suoi autoritratti e si riflette su quanto questi siano stati specchio della sua condizione fisica e psicologica.

“La tormentata storia di Frida Kahlo mi è sempre stata molto a cuore. Anche se oggi la sua immagine è stata assunta a status iconico, vittima di merchandising spietati e di poca reale comprensione della donna che fu e della sua straordinaria arte, riservo per lei sempre un pensiero positivo. Frida fu una donna forte come un albero ed emotivamente fragile come una foglia secca che vaga d’autunno sull’asfalto.

La sua travagliata e sofferta vita si riflette nei suoi quadri e, almeno in un paio di casi, rientra come esempio in questa mia analisi sul gioiello nelle arti visive. Questo perché, come sa bene chi conosce l’artista, lei amava smisuratamente abiti e gioielli vistosi, colorati, originali, di grande impatto visivo; nelle foto che la immortalano indossa sempre qualcosa di caratteristico, ad ornamento dei meravigliosi abiti tradizionali della sua terra natìa, il Messico. Frida amava agghindarsi in questo modo per contrastare i suoi tormenti interiori, per combattere e nascondere i segni dell’incidente che la costrinse a letto per anni e le fece amputare una gamba. L’artista, che morì molto giovane, ebbe modo – data la sua condizione – di realizzare un quantità impressionante di autoritratti, i quali sono interpretabili come veri e propri specchi dei momenti da lei vissuti e riportati sulla tela. Si possono suddividere in autoritratti a figura intera, a mezzo busto e del solo volto; tutte queste categorie sono spesso popolate di attributi dal significato simbolico. Frida si ritraeva con un’espressione impassibile, come se indossasse una maschera sempre uguale, intrisa di pesantezza e nostalgia; dal quadro il suo sguardo è sempre rivolto verso l’osservatore: nel caso dell’autoritratto è come se si verificasse il riflesso dell’Io in uno specchio, poiché lei guarda verso noi ma in realtà guarda negli occhi il pittore, cioè se stessa, il suo doppio.

Il moltiplicarsi delle collane in stile precolombiano o coloniale si attesta nel periodo immediatamente successivo al matrimonio con Diego Rivera celebrato il 21 agosto 1929 e testimonia la forte influenza che ebbero su di lei il marito, le sue scelte politiche e i suoi compagni di lotta membri del partito comunista messicano. Utilizzando attributi legati alla cultura messicana come abiti e collane semplici e tradizionali, Frida manifesta le sue radici, dichiarandosi meticcia e cioè vera messicana, nata dall’unione di sangue spagnolo e indio. Seguendo lo stesso criterio la giovane donna scelse anche gli sfondi dei suoi quadri, popolandoli di piante del posto e degli animali che le tenevano compagnia nella Casa Azul.

 

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Fig. 1 – Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine, 1940, olio su tela (47 x 61 cm), Harry Ransom Center, Austin.

 

I traumi ai quali fu esposta si riflettono negli autoritratti: cronologicamente, nei più vecchi, non si riscontra la tensione psicologica ed emotiva che si avrà invece a partire dal 1930 in avanti, cioè dal momento in cui, oltre ai problemi di salute legati all’incidente sull’autobus, dovette affrontare due aborti, uno di seguito all’altro. Come afferma lei stessa: «I miei soggetti sono stati sempre le mie sensazioni, i miei stati mentali e le reazioni profonde che la vita è andata producendo in me». La vita di Frida muta radicalmente, ma negli autoritratti ancora si scorgono le grandi collane e gli appariscenti orecchini, sfoggiati con disinvoltura e fierezza[2]. Vi sono però due casi in cui il gioiello diviene qualcos’altro, entrambe datati 1940; mi riferisco ad Autoritratto con collana di spine e Autoritratto dedicato al dottor Eloesser (figg. 1-2). Questi piccoli dipinti sono emblematici, poiché le meravigliose collane tradizionali lasciano il posto a collane di spine che feriscono il collo dell’artista facendola sanguinare. Si verifica una traslazione di significato che coincide con uno dei nodi fondamentali della vita di Frida: nel 1940 sposa Diego per la seconda volta ma le sue condizioni di salute peggiorano ed è costretta a volare a San Francisco per farsi curare sia per i dolori alla colonna vertebrale sia per una brutta infestazione di funghi alla mano destra. Simbolicamente, nell’Autoritratto dedicato al dottor Eloesser, la mano ricorre per due volte e diventa oggetto ridondante: come orecchino, nella forma che Picasso diede ai pendenti che le regalò, e come sostegno del cartiglio che recita la dedica del quadro al dottore che la aiutò a guarire.

 

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Fig. 2 – Frida Kahlo, Autoritratto dedicato al Dottor Eloesser, 1940, olio su fibra dura (59, 5 x 40 cm), Collezione Privata.

 

Questa mano/gioiello inserisce il dipinto nella categoria degli ex-voto, poiché simboleggia l’avvenuta guarigione della mano malata; la dedica ad Eloesser trasforma il medico nel santo che la liberò dalla sofferenza e dal martirio.

Dunque, mentre di solito le belle collane di Frida sono sinonimo di patriottismo, di appartenenza, di identità, qui mutano forma, divenendo sinonimi di dolore, ansia, prigionia. Quest’ultimo aspetto è ancor meglio esplicato visivamente nell’Autoritratto con collana di spine, in cui il collo della Kahlo è stretto da rami spinosi che sembrano volerla soffocare e al contempo la feriscono, la fanno sanguinare, sorreggono un pendente che ha le sembianze di un piccolo corvo morto[3], con le ali aperte.

Qui la spiccata frontalità della donna e la corrispondenza del volatile sullo stesso asse delle sue sopracciglia unite fa immediatamente pensare a tutte le volte che Frida pensò al suicidio o a tutte le volte in cui, stremata dalle sofferenze di una vita amara, le sembrò di essere sul punto di morire. L’uccellino nero – o meglio, la forma che rievoca, sotto sembianza di segno, il volatile – come le sue sopracciglia dalla caratteristica forma ad “ala”, si impone come presagio di morte sopra i suoi occhi, fortemente espressivi e penetranti tanto da sembrare neri come gli abissi della sua anima”.


[1] Il saggio, scritto da Marika J. Farina e a cura di Silvia Grandi, fa parte della collana ARTYPE | aperture sul contemporaneo e analizza il gioiello nella sua dimensione significante e più profonda. Clicca qui per scaricare gratuitamente il testo completo.

[2] Cfr. a A. KETTENMAN, Khalo, Taschen, 1992. Si consiglia la lettura delle biografie per approfondimenti sulla vita di Frida Kahlo.

[3] La critica associa spesso questo volatile al colibrì.

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