” Le visage humain n’a pas encore trouvé sa face/ c’est au peinture à la lui donner” | Antonin Artaud
Talvolta mostro dell’inconscio, talvolta giullare di corte. L’espressione di stati di sofferenza reconditi, di ansia e di psicosi si manifesta in tutta la sua potenza, a partire dall’istante in cui l’artista immerge le mani nella barbottina e se ne cosparge il corpo.
Classe 1959, originario del Congo, Olivier de Sagazan proviene da una formazione in ambito scientifico; dopo aver studiato Biologia si rende conto che le sue vere vocazioni sono pittura e scultura. Vi si dedica per circa vent’anni, fino a quando non approda al mondo della performance. L’approccio al mondo dinamico delle arti performative si manifesta per l’artista come un fulmine a ciel sereno e, al contempo, come una sorta di benedizione: significava reinventarsi, trasformare il proprio corpo in scultura, capire cosa trasmettere agli spettatori in questi momenti sospesi nel tempo e, soprattutto, superare un periodo di forte crisi della sua vita.
Come egli stesso afferma, l’uso della barbottina (miscela d’acqua e argilla) gli permette di plasmare tutto ciò che passa nella sua testa con estrema velocità ed efficacia. Come si può comprendere, l’artista non ha la minima idea di quanto le sue mani stiano creando; per realizzare la performance si affida agli occhi di un’anima in un continuo evolvere. L’obiettivo è quello di suscitare delle emozioni – positive o negative – in chi osserva, con la speranza che in ogni sua esibizione gli spettatori possano riconoscere una parte del proprio inconscio. Magari un ricordo, uno stato mentale, un sentimento.
Vedere l’artista all’opera è una magia continua: il suo corpo, quasi in uno stato di trance, assume molteplici forme, diviene tela e scultura allo stesso tempo; se un attimo prima aveva due occhi, l’attimo dopo potrebbe averne solo uno, o avere un corno sulla fronte ed essere addirittura privo del setto nasale. La sua forma muta di continuo e assume l’aspetto di altri esseri, umani e inumani.
L’opera di Sagazan dialoga con gli esempi più duri della body art che, a partire dagli anni ’60, invase la scena internazionale con artisti di spicco quali Gunter Brus, Arnulf Rainer e Rudolf Schwarzkogler. Ma è proprio a Gunter Brus che il suo metodo e la sua poetica si avvicinano in maggior proporzione: non è difficile trovare nei loro lavori analogie materiche, cromatiche e formali. I loro corpi vengono adoperati alla stregua di tele, vive e vibranti; per entrambi il colore riveste un posto di rilievo e viene utilizzato per creare spazi, liquidi, umori.
Nel corso della sua prolifica e lunga carriera, Olivier de Sagazan ha partecipato a numerose mostre collettive ed altrettante personali, in tutto il mondo. Le sue performance sono state ospitate a Londra, Parigi e perfino Shangai; l’artista ha avuto modo di presenziare anche nelle università, portando avanti il progetto delle Masterclass, in cui coinvolge gli studenti in un’esperienza dinamica e liberatoria.
Anche per quest’anno l’artista sarà ospite di numerosi festival ed eventi espositivi in giro per il mondo. Le prime date sono già disponibili: l’artista, tra mostre, workshop e performance, proseguirà la sua personale ricerca sul corpo e sulla materia, nella speranza di comprendere dove si nasconda il soffio vitale che ne anima le membra.
Per maggiori informazioni visita il sito dell’artista, attivo anche su Instagram come @sagazan.
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