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Arte Fiera 0 | La storia dell’esperimento da cui tutto ebbe inizio


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La storia di Arte Fiera – che quest’anno aprirà le sue porte a collezionisti ed appassionati d’arte dal 24 al 26 gennaio – ha inizio molti anni or sono. Dopo l’istituzione della Kunsthalle di Colonia (1967) e di Art Basel (1970) in Italia fu proprio Bologna a divenire polo di aggregazione per il mercato dell’arte contemporanea: la prima edizione ufficiale della manifestazione fu quella del 1975 ma in verità Arte Fiera prese forma già a partire dal 1974, prendendo posto all’interno della 38° Fiera Internazionale proprio con il nome che tutti conosciamo.

Dieci gallerie, un catalogo in bianco e nero e la voglia di provare a capire come sarebbe potuta essere una fiera mercato interamente dedicata all’arte contemporanea sono gli elementi chiave di quella che è considerata l’edizione n°0 della fiera dall’iconico bollino rosso. Grazie al prezioso aiuto della Galleria de’ Foscherari e dell’allora dirigente Maurizio Mazzotti, in questo Focus parleremo di quel caldissimo giugno del 1974, delle gallerie che decisero di scommettere su un’idea a posteriori dimostratasi vincente e di un meraviglioso catalogo, realizzato per merito di Giorgio Ruggeri, giornalista e critico d’arte.


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Galleria de’ Foscherari – Franco Bartoli, fotografia di Antonio Basotti (estratto dal catalogo di Arte Fiera del 1974) – p. 5

 

“(…) Con Franco Bartoli, mio dotto compagno di viaggio, nel ’74 portammo una bellissima cera di Victor  Brauner.  Eravamo in un prato, in prefabbricati con effetto stufa. L’opera cominciò a muoversi, era giugno e faceva un gran caldo. Ma l’idea non si liquefece e l’anno dopo ecco Arte Fiera. Siamo cresciuti con lei, abbiamo visto offerti a quattro soldi capolavori che nessuno comprava, gallerie e pittori diventare famosi. Bologna ha accettato la sua fiera. Anni belli e terrificanti. Non si dormiva mai”.

 

Pasquale Ribuffo[1] – fondatore, insieme a Franco Bartoli, della Galleria de’ Foscherari – in questa memoria pubblicata su Arte&Fiera 40 (2016) rimembra il caldo dell’edizione n°0 e fornisce un sintetico spaccato di questa prima esperienza. Ma è grazie ai figli dei due galleristi, Bernardo Bartoli e Francesco Ribuffo, che siamo riusciti a ricostruire ancor meglio la storia.

La galleria conserva ancora una copia dell’introvabile catalogo del 1974: una sessantina di pagine – rilegate ad anelli e tutte rigorosamente in bianco e nero – riuniscono le dieci gallerie presenti e menzionano per ciascuna i nomi degli artisti, le opere in mostra e tutti i riferimenti utili per raggiungere le rispettive sedi e per poter essere contattati. L’impaginato, semplice ed elegante, alterna contenuti sulla storia delle gallerie a piccoli cenni sugli artisti; testi brevi, concisi, quasi privi di orpelli critici servivano per informare il pubblico e indirizzarlo su quanto possibile trovare in mostra. Sulla copertina nera campeggia il logo bianco: ArteFiera Bologna è il nome con cui l’iniziativa venne presentata all’interno della 38° Fiera Internazionale, dal 5 al 16 giugno 1974.


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Il ministro Gullotti, il sindaco Zangheri, il commissario di governo Padalino e le autorità in visita al padiglione allestito dal comune in occasione dell’inaugurazione della 38° Fiera Internazionale di Bologna – da “Bologna. Notizie del comune nn.10-11 del 15 giugno 1974.

 

Ma chi furono, dunque, le gallerie dell’edizione zero? Tra le bolognesi troviamo la già citata Galleria de’ Foscherari, la Galleria Forni, la Galleria Duemila, il Cancello, La Loggia, la Galleria San Luca e la Galleria Stivani; presenti anche la Galleria Giulia di Roma, la Vinciana di Milano e La Bussola di Torino. Il quadro che si evince sfogliando le spesse pagine del catalogo è quello del fermento culturale di quegli anni e di quali fossero i centri più attivi e interessati all’arte contemporanea: in apertura, come introduzione, il coordinatore Giorgio Ruggeri ringrazia l’Ente Fiere di Bologna e spiega brevemente le motivazioni – strettamente connesse all’evoluzione del mercato – che portarono alla realizzazione di questa prova in fieri.

«Questa mini-mostra-mercato possiede le premesse e la struttura per riproporsi l’anno prossimo in misura anche decuplicata» afferma il critico in conclusione, lasciando intendere le potenzialità dell’esperimento e la voglia di ampliare su larga scala il progetto. Se teniamo conto delle presenze che la fiera contava già nel 1975 non possiamo che pensare che ci avesse davvero visto lungo.


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Galleria Forni – Tiziano Forni con il Figlio Stefano e il pittore Velickovic, fotografia di Antonio Masotti (estratto dal catalogo di Arte Fiera del 1974) – p. 17

 

Come ci racconta Maurizio Mazzotti «Il catalogo a spirale di quell’edizione, fu fatto – e fu merito – di Giorgio Ruggeri, che parlò con un editore e disse: “noi non abbiamo soldi, tu saresti disponibile a darci una mano per fare un catalogo?”. Alla fine le gallerie di Bologna erano tutte sue clienti e allora trovarono un modo di fare questo catalogo auto finanziandosi. L’anno dopo diventò tutto nostro e gestimmo anche la grafica. (…)

Io allora organizzavo la Fiera Campionaria, e il problema era quello di darle un volto nuovo: aveva un mucchio di settori, perciò l’idea era stata quella di creare dei settori specializzati o specialistici, dall’arredamento alla meccanica. Si è pensato: perché non introdurre anche l’arte contemporanea? L’idea venne a me perché avevano da poco trasferito – o stavano per trasferire – il museo d’arte contemporanea a Villa delle Rose[2], che poi è stata trasformata. All’epoca i pittori bolognesi del ‘900 erano li; io ci portavo le mie figlie: era un posto bellissimo.

(…) Andai a parlare con un amico giornalista che lavorava al Carlino, chiedendogli se conosceva qualcuno e lui mi consigliò di contattare Giorgio Ruggeri. “Lui sa tutto!”, mi disse, e così andai a parlargli e gli chiesi: “che ne pensi di fare una cosa del genere?” [in riferimento ad una fiera mercato d’arte contemporanea, ndr.]. Lui mi rispose che qualcosa del genere esisteva, da pochi anni, solo a Basilea.

Insieme a Ruggeri cominciammo a vedere cosa si poteva fare. Mi indicò due gallerie di Bologna: una era la Galleria de’ Foscherari e l’altra era la Galleria Forni, che all’epoca era molto attiva. Parlai con i due galleristi e devo dire che li trovai entrambi molto disponibili a conversare, ma si stringevano nelle spalle all’idea di fare una fiera. Mi dissero comunque di avvisarli se avessimo fatto qualcosa e allora provai a sentire in fiera: questa è la parte addirittura buffa, perché quando chiesi se potevo utilizzare uno spazio della Campionaria – che allora era una fiera abbastanza bella e richiamava tutta Bologna – subito capii che l’arte era temuta. Mi dissero si, purché  non si utilizzassero gli spazi della fiera campionaria e non vi fossero costi aggiuntivi».


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Galleria Il Cancello – Giovanni Ciangottini, fotografia di Antonio Migliori (estratto dal catalogo di Arte Fiera del 1974) – p. 29

 

«Non sapevamo neanche quello che sarebbe stato: all’epoca la Campionaria durava 10-12 giorni e c’era un’area gastronomica; i perni erano la gastronomia, i mobili e la meccanica, ma oltre queste c’era di tutto e di più. La meccanica aveva un entroterra economico notevole, le leggi aiutavano gli artigiani, l’arredamento era in pieno sviluppo e dal dopoguerra tutti costruivano le case.

Tra le fiere che facevamo a Bologna ce n’era una molto in auge, forse la più grossa: il salone dell’edilizia. Dietro l’area gastronomica erano presenti dei prefabbricati che venivano usati solo per il SAIE[3]; allora chiesi alla collega che seguiva il SAIE se poteva aprirceli per la Campionaria. Erano delle casette, dei garage intorno ai 50 metri quadri; penso che i galleristi avessero pagato giusto gli espositori e la corrente.

Riuscimmo a convincerli insieme a Giorgio Ruggeri: 10 gallerie parteciparono nell’ambito della Campionaria che rimaneva aperta dalle 10 alla mezzanotte».


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Foto del quartiere fieristico di Bologna (estratto dal catalogo “Le fiere di Bologna 1974”)

 

La fiera, prosegue Maurizio Mazzotti, si tenne all’interno del quartiere fieristico che conosciamo oggi: «Ora è tutto diverso, però l’area è quella. Negli ultimi anni tutto è cambiato in maniera pazzesca. Quella zona era libera, perché era una zona militare, per cui credo fosse (non sono sicuro) del demanio. Lì attorno c’erano dei contadini che avevano dei poderi e fecero tutta un’operazione di vendita al Comune, credo che gli enti che gestirono questa cosa furono il Comune, la Provincia e la Regione; non esisteva ancora, credo, la Camera di Commercio, ma in un secondo momento si infilarono gli artigiani, i commercianti, gli industriali.

La fiera dell’edilizia si svolgeva nei padiglioni, ma l’edizione di Arte Fiera di quell’anno si svolse nei prefabbricati all’esterno. Ci si arrivava dall’entrata di via Michelino [che era l’ingresso nord, ndr.], l’area si trovava dietro i padiglioni della Gastronomia, dove erano tutte costruzioni precarie: immaginate la piazza di un paesino, con tutto intorno queste baracche gastronomiche e al centro un palco con gli spettacoli. La cosa buffa è che quando smontavano – era Giugno e c’era molto caldo – sotto questi pavimenti in legno era pieno di serpi [ride, ndr.]».

È sorprendente pensare come, rispetto all’attuale struttura di Arte Fiera, le gallerie si adattarono agli spazi disponibili: «In quel primo anno cercarono qualche pannello, ma [le opere, ndr.] erano esposte come meglio si poteva; forse furono imbiancate le pareti, che erano comunque tenute bene perché si trovavano all’interno degli stand che le ditte costruivano apposta per la SAIE. Ovviamente ogni gallerista studiava al meglio l’allestimento, ma comunque venivano esposte sui muri, ogni galleria pensò il suo spazio».


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Galleria de’ Foscherari – Pirro Cuniberti (estratto dal catalogo di Arte Fiera del 1974) – p. 10. Per l’edizione n°0 l’artista disegnò una piastrella in tiratura limitata dal titolo “Una barca per due” che venne poi realizzata dalla Ceramica Santerno di Imola.

 

È stato un rischio investire a Bologna?

«Devo dire che Bologna per le fiere aveva un vantaggio baricentrico. Alla fine ci si arrivava già facilmente, ma io osai proporla perché Milano resta sempre la mecca, Torino resta chiusa in un mondo tutto suo, Roma ti ubriaca.

All’interno della Fiera di Bologna abbiamo fatto manifestazioni di moda, di calzature, profumi, di tanti altri settori che ebbero un grande successo, però ad Arte Fiera si vendono i pezzi e lì il grosso problema del gallerista erano le legislazioni. In Svizzera erano più tolleranti; basti pensare che i galleristi quando andavano lì [a Basilea, ndr.] dormivano in Germania perché si dormiva meglio, mangiavano in Francia, entravano e uscivano dalla fiera con i bauli pieni di quadri perché nessuno diceva niente, nessuno chiedeva, non ci si metteva neanche il problema del contrabbando, nessuno controllava.

Inserire in una fiera dedicata a prodotti industriali e commerciali elementi di cultura – come una fiera di libri per ragazzi o Arte Fiera – era una cosa spettacolare».

L’esperimento diede risultati positivi?

«Diciamo che allora le fiere, e i relativi bilanci, erano tutti ponderati, perché se uno faceva dei conti numeri alla mano era difficile farli quadrare. Solo l’allestimento, solo quello che ci voleva per organizzare la fiera – pareti, pavimenti, illuminazione – costava un sacco di soldi; come adesso tutto veniva montato e smontato a dei costi altissimi. I risultati furono positivi, tanto è vero che per l’edizione successiva i consiglieri più disponibili si riunirono per fare un viaggio e andare a vedere Basilea, non ricordo se nel ‘74 o nel ’75. Lì conobbi Achille Bonito Oliva e conoscemmo un gruppo di italiani che rappresentavano l’internazionalità».

Si conclude così la straordinaria testimonianza di Maurizio Mazzotti, capace di riportarci indietro nel tempo. Quarantasei anni fa, nei prefabbricati esterni alla SAIE, organizzatori e galleristi ancora non sapevano (e forse nemmeno immaginavano) quanto quelle giornate di giugno sarebbero state importanti. La premessa, l’esperimento da cui Arte Fiera poté concretizzarsi appare permeato da un’aura di assoluta normalità. Nessun sensazionalismo, nessuna pretesa: soltanto la voglia di mettersi in gioco. I visitatori, grandi e piccini, «guardavano l’arte mangiando il gelato», vivevano questa nuova esperienza con la curiosità di chi non se l’aspetta. L’edizione n°0 della manifestazione ci ricorda che anche le grandi cose hanno necessità di terreno fertile e di semi da piantare affinché possano crescere e dare buoni frutti.


[1] Da Arte&Fiera 40, a cura di Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti, 2016, p. 154

[2]  Villa delle Rose fu chiusa nel 1974 e le sue collezioni trasferite presso la Galleria d’Arte Moderna progettata da Leone Pancaldi, in prossimità del Quartiere Fieristico. La storia completa è consultabile sul sito di Storia e Memoria di Bologna.

[3] La prima edizione del SAIE (Salone internazionale dell’Edilizia) si svolse nel 1965.


Un ringraziamento speciale alla Galleria de’ Foscherari tutta, che si è prodigata per aiutarci a reperire le informazioni su Arte Fiera n°0; a Ilaria Monarini, che ha eseguito le scansioni affinché potessimo mostrarvi alcune foto del catalogo; a Maurizio Mazzotti che è stato così gentile da accettare di incontrarci e raccontare una storia che credevamo quasi perduta.

Bibliografia di riferimento:

  • Bologna, notiziario del comune: informazioni dell’Ufficio stampa del Comune di Bologna, a. 1974 n.14
  • Arte & Fiera 40, a cura di Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti, Edizioni Corraini, 2016
  • Catalogo ArteFiera Bologna 1974
  • Francesco Poli, Il sistema dell’arte contemporanea: produzione artistica, mercato, musei, Edizioni Laterza, 2011

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